La strada si stringe in lontananza, per effetto della prospettiva. Lo sappiamo perché conosciamo questo fenomeno. Lo sappiamo per esperienza. L’esperienza, però, dovrebbe anche dirci che non vediamo le cose per ciò che sono.
Quando accumuliamo errori di percezione, uno sopra all’altro, costruiamo un’immagine della vita che è completamente sbagliata; e facciamo scelte proprio in conformità a questa immagine. E soffriamo a causa di continui errori.
Il sospetto guida la vita delle persone. Tutti sospettano di tutti: di essere traditi, di essere imbrogliati, di essere giudicati. Sarebbe più utile nutrire sospetti riguardo alle convinzioni di cui siamo certi. Se siamo perfettamente sereni, felici e armonici, nulla da eccepire. Se però non è così, dovrebbe nascere il legittimo sospetto che non vediamo qualcosa di grosso.
L’esperienza è il passato. Questo concetto è fondamentale e richiede riflessione. Sappiamo che il passato influenza il presente e quest’ultimo il futuro. Ciò significa che il nostro futuro – immediato o lontano – è influenzato dal nostro passato, prossimo o remoto che sia.
Se capiamo bene questa semplice equazione (se la capiamo veramente e non solo superficialmente), comprendiamo anche che la conoscenza (che deriva sempre dal passato), non può portare alla scoperta del nuovo. Senza scoperta del nuovo, non può esservi evoluzione, né sul piano psicologico, né su quello emozionale. Questo è il principale motivo per cui l’umanità, da millenni, soffre sempre degli stessi mali, che semplicemente assumono forme diverse, secolo dopo secolo.
Il passato costruisce il presente. Quindi, i semi del passato creeranno la strada per il futuro. È un circolo vizioso che porta a girare in tondo, perché non viviamo davvero il presente (in modo nuovo e fresco), ma sempre una replica del passato.
Tuttavia non possiamo liberarci dal vecchio, dall’esperienza, dalla memoria. Non sarebbe nemmeno auspicabile. Il passato non è tanto importante quanto il presente, ma la memoria di un percorso individuale o di razza, consente di riflettere su tutto ciò che esiste e sui processi in corso (proprio perché il presente è figlio del passato) e potrebbe evitarci di ripetere sempre gli stessi errori.
Purtroppo sembra che quest’auspicabile risultato della memoria avvenga raramente, se non per piccole cose quotidiane. Principalmente questo è dovuto al fatto che le percezioni non sono aperte sul momento presente e quindi esistono pochissime possibilità di intuire strade diverse da quelle già percorse, alle quali l’essere umano è attaccato emotivamente e psicologicamente, o dalle quali trova una qualche forma di rassicurazione.
Per questa ragione l’esperienza in sé, lungi dal produrre necessariamente saggezza, spesso sclerotizza paure, speranze, idee, con tutti i condizionamenti autoprodotti e con l’aggiunta delle influenze negative provenienti da fuori di noi.
Per salvaguardarci da ciò che proviene dall’esterno o che generiamo noi stessi, occorre un reset. Questo non significa che dobbiamo perdere la memoria del nostro passato o di ciò che abbiamo studiato, ma che dobbiamo sviluppare la capacità di osservare e percepire nel silenzio mentale. Per quanto riguarda il corpo, sappiamo che occorrono momenti di riposo. Per ciò che concerne il pensiero, nessuno ci ha mai insegnato qualcosa di analogo. La nostra mente è permanentemente attiva, in modo volontario o involontario; perfino nel sonno, attraverso una continua produzione onirica.
Occorre vedere con chiarezza che quando siamo nella mente ci troviamo necessariamente nel passato, perché il pensiero è costituito da simboli di ciò che conosciamo. Non esiste il pensiero creativo, come qualcuno pretende di far credere. Il pensiero mescola dati preformati generando risultati che possono apparire differenti dai precedenti, ma che non hanno in sé proprio nulla di nuovo.
Se osserviamo la storia del genere umano lo notiamo chiaramente; essa tende sempre a ripetersi a intervalli regolari. L’unico modo per andare oltre a questo uroboro è quello di salire di livello. Salire di livello significa emanciparsi dalla prigione del passato – individualmente e socialmente – per accedere al nuovo. Non è possibile farlo, se prima non si ottiene un pieno governo della mente ordinaria, imparando a controllarne i flussi meccanici e infine sperimentando il silenzio mentale.
Nel silenzio mentale i simboli del pensiero comune cessano di prodursi e la memoria a loro collegata si mette a riposo. In questo modo è possibile osservare un fiore, un evento, o una persona, come se fosse la prima volta. Il primo effetto percepito è quello di una grande calma. Un benessere sconosciuto ci pervade, come se tutti i pesi della vita si fossero magicamente dissolti.
È meraviglioso, ma non è la cosa più importante. Attraverso questa capacità il pensiero diventa più lucido, più incisivo, più fluido. Tutto all’esterno sembra muoversi con maggiore lentezza, come se ci fossimo spostati in uno spazio tempo diverso. La mente è calma e stabile.
Ogni ragionamento si fa matematico e non influenzato da emozioni spurie.
Anche questi ultimi effetti non rappresentano il meglio di questa condizione. In questo silenzio i pensieri e le esperienze passate, come anche le influenze provenienti dai condizionamenti esterni e dalle onde emotive e mentali degli altri, non possono più porre in agitazione la nostra produzione mentale ed emozionale.
In questa calma emerge qualcosa di più profondo, proveniente da ciò che per consuetudine chiamiamo Cuore. Con la calma del silenzio riscopriamo sentimenti dimenticati, una sensibilità rinnovata e, con essa, anche la capacità di leggere gli eventi dietro alle apparenze, come anche i reali sentimenti di chi incontriamo. È l’anticamera del vero Amore.
Ritengo che oggi, nella società moderna, il silenzio sia una sorta di disvalore. Di certo non è un concetto cardine del nostro stile di vita. Al Silenzio associamo una connotazione negativa, di stasi improduttiva, di lentezza svogliata e pigra, di noia, tedio e monotonia, di sicuro poco accattivanti e di scarsa attrattiva. Da questo punto di vista siamo lontanissimi e all’opposto rispetto alle civiltà antiche. Oggi i ritmi frenetici, la fretta, la competizione e il raggiungimento degli obiettivi produttivi sono i caratteri fondamentali dell’uomo vincente, apprezzato e rispettato, perché “si dà da fare, lavora molto, passa ore e ore in azienda, è sempre attivo, non si ferma mai, ha fatto i soldi ecc”. Questi sono gli standard di giudizio. Premetto che non sto giudicando nessuno, anzi… Io nutro una profonda stima per la classe imprenditoriale che considero alla base di ogni progredito sistema paese. È dalla rivoluzione industriale che il rumore delle fabbriche si è potentemente sostituito al silenzio. Come avevo già scritto, le persone sono disposte a pagare qualsiasi cifra pur di riempire, anche solo per qualche istante, il vuoto. La frenesia e l’iper attivismo in ogni suo aspetto soddisfano questo bisogno e il mercato lo ha capito molto bene. Abbiamo un’offerta di riempitivi di ogni genere che si rinnova ogni giorno grazie alle multinazionali. L’uomo oggi teme il silenzio, un buio associato alla mancanza di senso dell’esistenza e al terrore di un abisso senza fine che può fagocitarci in ogni momento quindi… Meglio non pensarci… Il problema a mio avviso rimane sempre lo stesso: l’incapacità di percepire il senso dell’esistenza. L’ignoto spaventa. Oggi più di ieri, dato il maggiore livello di scolarizzazione e alfabetizzazione che spinge, in ogni caso, ad uno stato di riflessione generalizzato più profondo.