Con questo termine si indica (solitamente) la possibilità che un atto di osservazione possa influenzare o determinare in qualche modo le proprietà di ciò che viene osservato.
Immaginate di voler conoscere la temperatura di un liquido e che per farlo usate un termometro a immersione. Poiché il termometro possiede una sua temperatura, quando viene immerso nel liquido ci sarà uno scambio di calore, tra il termometro e il liquido, che cambierà leggermente la temperatura di quest’ultimo, quindi il valore osservato (misurato) non corrisponderà esattamente alla temperatura del liquido prima dell’osservazione.
Effetti di questo vengono più esattamente denominati effetti sonda, o probe effects, in inglese. Non si verificano solo nel campo della fisica. Ad esempio, nel campo della programmazione, il cosiddetto heisenbug denota un bug, cioè un errore di software, che è in grado di alterare il suo comportamento, o addirittura di scomparire, quando si tenta di osservarlo più attentamente, cioè di sondarlo (il termine “heinsenbug” è un gioco di parole con il nome del fisico Werner Heisenberg).
Nelle scienze sociali si utilizza spesso invece il termine paradosso dell’osservatore, per riferirsi a situazioni dove la presenza dell’osservatore può alterare i risultati dell’osservazione. Ad esempio, in sociolinguistica, quando un ricercatore, tramite un’intervista, raccoglie dei dati su un determinato linguaggio naturale, con la sua semplice presenza rischia di alterare il modo di esprimersi dell’intervistato, che ad esempio potrà cominciare a esprimersi in modo più formale.
Gli effetti che ho menzionato possono in linea di principio essere eliminati, o quantomeno notevolmente ridotti, utilizzando tecniche di osservazione più raffinate. Per tornare al summenzionato esempio dell’intervista, l’intervistatore potrà ad esempio creare un ambiente il più impossibile informale, in grado di mettere il più possibile l’intervistato a suo agio. Ed è sicuramente possibile misurare la temperatura di un liquido senza entrare in contatto con esso, ad esempio analizzando le radiazioni infrarosse che emette.
Tuttavia, non è possibile ridurre gli “effetti di disturbo” con quelle osservazioni che possiedono una loro invasività intrinseca. Consideriamo l’esempio di un cubetto di legno e l’osservazione della sua bruciabilità. Per farlo, dobbiamo mettere il cubetto a contatto con una fiamma, per vedere se si trasforma in cenere. Dunque, l’osservazione della proprietà della bruciabilità distrugge la proprietà in questione, distruggendo l’entità osservata.
D’altra parte, poiché sappiamo per esperienza che i cubetti di legno sono bruciabili (possiamo cioè prevedere con certezza l’esito dell’osservazione), sebbene il processo osservativo comporti degli effetti distruttivi, questo ci fornisce comunque una risposta corretta. In altre parole, il fatto che un’osservazione sia intrinsecamente invasiva non significa che ci darà un risultato errato, o alterato.
Ci sono però situazioni – ed è qui che la faccenda diventa interessante – in cui l’osservazione può letteralmente creare le proprietà che vengono osservate. In questo caso, il processo non solo cambia lo stato dell’entità osservata, ma lo fa in un modo che non può essere predetto in anticipo.
Prima di continuare, vorrei precisare che in fisica si parla solitamente di misure, anziché di osservazioni. Tuttavia, queste due nozioni sono intimamente connesse, essendo chiaro che misurare una quantità fisica, come la posizione di una particella, significa osservarne il valore.
Immaginate ora di chiedere a una persona se è fumatrice o non fumatrice. Poiché le persone solitamente sanno perfettamente se fumano o meno, la risposta alla domanda ci rivelerà una proprietà della persona che era già attuale prima ancora che la domanda fosse posta. La situazione è simile a quella precedente del cubetto di legno, con l’importante differenza che in questo caso il test non distrugge l’entità interrogata.
Ma cosa succede se chiedete invece a quella stessa persona se è favorevole o contraria all’uso dell’energia nucleare? Ora, molte persone non hanno un’opinione ben formata sulla questione nucleare e supponiamo che sia il caso anche della persona che stiamo interrogando. Non siamo allora più nella situazione della domanda sul fumo, dove la persona aveva già una risposta, che poteva semplicemente recuperare dalla propria memoria, in modo deterministico. Siamo invece in una situazione dove la persona deve rispondere a una domanda che per lei è del tutto nuova, che non si era mai posta fino a quel momento; quindi, sarà costretta attualizzare la sua risposta sul momento. Certo, potrebbe scegliere anche di non rispondere, ma immagiamo che l’interrogatorio non preveda questa possibilità, cioè che la persona sia letteralmente forzata a rispondere. È questo ciò che accade quando si interroga un sistema fisico tramite un esperimento specifico. Il contesto sperimentale “costringe” il sistema a rispondere, cioè a fornire un risultato.
Dunque, in questo caso il processo di osservazione della ‘posizione della persona rispetto al nucleare’, crea letteralmente tale posizione, e lo fa solitamente in modo altamente contestuale, cioè in un modo che dipende non solo dallo stato della persona in quel momento, ma anche da come la domanda è formulata e dalle fluttuazioni imprevedibili che si verificano nella sua mente, quando confrontata con questa particolare situazione cognitiva.
Prima della domanda, la posizione “a favore del nucleare” e la posizione “contro il nucleare” sono solo posizioni potenziali, e il processo osservativo-interrogativo produce l’attualizzazione di una di queste due posizioni potenziali, in una sorta di “rottura di simmetria”.
L’attuale rompe la simmetria del potenziale.
Mutatis mutandis, lo stesso accade in fisica, quando una misura viene eseguita su un’entità fisica che si trova in un cosiddetto stato di sovrapposizione. La sovrapposizione descrive una condizione di potenzialità, tale per cui l’entità, ad esempio un elettrone, non possiede in termini attuali la proprietà che si vuole osservare, come ad esempio possedere una posizione specifica nello spazio.
Un elettrone in uno stato di sovrapposizione rispetto all’osservabile posizione è un’entità non-spaziale, solo potenzialmente presente nello spazio. Tuttavia, quando viene interrogato tramite un apposito apparato di misura circa la sua posizione spaziale, risponde creando una posizione specifica, solitamente in modo del tutto imprevedibile (il famoso collasso indeterministico della funzione d’onda).
L’effetto osservatore, in questo caso, corrisponde al fatto che osservando la posizione dell’elettrone non-spaziale, lo si costringe ad acquisirne una, così come osservando la posizione di una persona senza una posizione sul nucleare, la si costringe ad acquisirne una. In altre parole, la nostra stessa osservazione attualizza delle proprietà che erano solo potenziali antecedentemente la sua esecuzione.
Quello che ho appena spiegato aiuta a chiarire uno dei comuni malintesi sull’effetto osservatore quantistico. La nostra osservazione non crea la realtà osservata. Nel senso che quando osservo la posizione di un elettrone, non creo l’elettrone. Quello che però il mio processo osservativo è in gradi di creare sono delle proprietà dell’elettrone che non esistevano (non erano attuali) prima della mia osservazione. Il punto cruciale è che la realtà che osservo può rivelarsi molto diversa dalle mie aspettative: gli elettroni non sono corpuscoli, ma entità non-spaziali, e le persone spesso non hanno posizioni predefinite rispetto a determinate questioni.
Proseguendo nella nostra esplorazione dell’effetto osservatore, consideriamo il principio di indeterminazione di Heisenberg, che ci rivela che, ad esempio, non è possibile osservare simultaneamente la posizione e la velocità di un’entità elementare. Questo perché alcuni processi osservativi corrispondono a procedure sperimentali incompatibili, che in un certo senso si disturbano a vicenda. Una delle conseguenze di questo è che se eseguiamo una sequenza di osservazioni tra loro incompatibili, l’ordine della sequenza avrà un’influenza sui risultati ottenuti.
Per capirci, facciamo ancora una volta un esempio di tipo psicologico. Durante la guerra fredda, fu chiesto al popolo americano se ritenesse corretto consentire a dei giornalisti di attraversare la “cortina di ferro”, per portare notizie nei rispettivi paesi su cosa accadeva dall’altra parte. Se veniva posta per prima la domanda in relazione ai giornalisti americani che si recavano in Unione Sovietica, gli intervistati erano poi molto più favorevoli nell’approvare anche lo spostamento dei giornalisti sovietici in America, quando la stessa domanda veniva loro posta, in seconda battuta, in relazione ai giornalisti russi. Se si invertiva invece l’ordine delle domande, non solo la percentuale di risposte negative alla domanda sui giornalisti sovietici aumentava considerevolmente, ma anche quella in relazione ai giornalisti americani. [1]
Gli effetti d’ordine nelle domande, o question order effects in inglese, sono chiaramente una preoccupazione per gli psicologi e i sociologi, quando eseguono delle osservazioni su credenze, atteggiamenti, intenzioni e comportamenti delle persone, e uno dei modi per attenuarli è quello di randomizzare l’ordine delle domande, per evitare che gli intervistati rispondano tutti alle domande poste nella medesima sequenza.
Sempre nell’ambito dell’effetto osservatore, è interessante menzionare l’effetto Zenone quantistico, che prende il nome dal famoso paradosso della freccia del filosofo greco Zenone di Elea. Si tratta di una situazione dove l’osservazione continua di un sistema fisico è in grado di “congelarne” l’evoluzione. L’esempio tipico è quello di un atomo instabile (radioattivo), il cui decadimento può essere rallentato semplicemente osservandolo (tramite un rilevatore) con maggiore frequenza, fino ad arrivare alla possibilità di un annullamento completo del decadimento se l’osservazione diventa continua (in questo caso, si parla di paradosso di Zenone quantistico, in particolar modo se il processo osservativo viene realizzato con una modalità “a risultato negativo”, cioè con l’esito sperimentale ottenuto non dal verificarsi di un evento fisico, ma dalla sua assenza).
Un effetto simile è stato descritto anche in campo neuroscientifico, dove si è potuto evidenziare come un’attenzione focalizzata e continua sia in grado di stabilizzare i circuiti neurali del cervello. In un ambito ancora diverso, possiamo menzionare l’effetto psicologico noto come effetto spettatore, o bystander effect in inglese, secondo il quale più sono numerosi gli spettatori (cioè gli osservatori) presenti in una data situazione di emergenza, e meno è probabile che uno di loro fornisca un aiuto fattivo.
Per concludere, vale la pena menzionare un’ultima situazione, anch’essa descrivibile come effetto osservatore, in grado di influenzare il modo in cui vengono raccolti i dati in una ricerca, come questa viene progettata e come i suoi esiti vengono analizzati. Questo tipo di effetto osservatore, particolarmente insidioso, si verifica quando il desiderio di osservare qualcosa è così forte da portare le persone a “pensare di osservare” qualcosa che non è realmente presente. Un esempio emblematico è il caso dei raggi N, dove all’inizio del secolo scorso un’intera comunità di scienziati ritenne di aver identificato una nuova radiazione visibile, che si rivelò poi essere unicamente il frutto di un errore di osservazione (observer bias), amplificato dal convincimento di numerosi ricercatori dell’esistenza di questa nuova forma di radiazione.
Il metodo scientifico (da intendere qui in senso riduttivo del termine) nasce proprio nel tentativo di neutralizzare il più i nostri processi di autoinganno, ma ovviamente noi esseri umani non siamo mai completamente immunizzati dai nostri falsi pregiudizi, siano essi individuali o collettivi.
Gli esempi e le spiegazioni che ho qui fornito non possono ovviamente esaurire un argomento tanto vasto quanto quello degli ‘effetti delle nostre osservazioni’, nei diversi campi di indagine, come la fisica, la psicologia e le scienze sociali. Questi effetti, tuttavia, non dovrebbero essere considerati solo come una limitazione della nostra capacità di accedere al reale. Essi, infatti, ci rivelano che le nostre osservazioni sono processi molto più complessi di quanto solitamente immaginiamo: possono essere sia deterministici che indeterministici, sia invasivi che non invasivi, possono comportare aspetti di scoperta o aspetti di creazione, o entrambi gli aspetti contemporaneamente. E, ovviamente, possono essere più o meno soggettivi, cioè più o meno contaminati dalle nostre convinzioni e pregiudizi personali.
Quello dell’osservazione, e dei suoi possibili (e molteplici) effetti, è un tema fondamentale non solo per la ricerca scientifica (ricerca esteriore) ma anche per la ricerca spirituale (ricerca interiore). Il tema dell’osservazione nella ricerca interiore richiede però una riflessione dedicata, poiché i presupposti della pratica osservativa in questo ambito sono differenti rispetto a quelli della ricerca esteriore. Solo per fare un esempio, e su questo concludo, quando si pratica una tecnica meditativa, e nel farlo ci si pone “in osservazione”, non si cerca di porre (o imporre) una domanda specifica all’oggetto della nostra osservazione-meditazione (che tra l’altro è spesso senza oggetto), né si cerca di forzare una qualsivoglia risposta. Semplicemente, si rimane in ascolto di una possibile risposta a una non-domanda. In altre parole, per usare una metafora di sapore Zen, si cerca di ascoltare “il suono prodotto da una mano sola,” che è un “suono privo di suono”. E ovviamente, per riuscirci, è necessario ridurre al minimo ogni possibile fonte di rumore, non solo esterna ma, soprattutto, interna.
Questo articolo è un adattamento del contenuto di: Sassoli de Bianchi, M. (2018). Observer Effect. In: The SAGE Encyclopedia of Educational Research, Measurement, and Evaluation. Edited by: Bruce B. Frey. SAGE Publications, Inc., pp. 1172-1174.
Per saperne di più sull’effetto osservatore quantistico, vedi il numero 19, anno 2019, di AutoRicerca (www.autoricerca.ch).