Plop.
«Che cosa è stato?», si chiese Gölu.
«Che diavolo è successo?», ripeté.
Rimase immobile, paralizzato, impietrito. Non aveva mai provato una sensazione simile prima d’ora. Qualunque cosa lo avesse trafitto gli provocò un senso di nausea, di pesantezza, smarrimento. Era come se una densa e fitta nube si fosse elevata dal basso e posata al suo interno, appesantendone il suo essere. Gölu era furioso: chi o cosa aveva osato colpirlo a tradimento? Quale vile non aveva avuto il coraggio di affrontarlo apertamente? Chiunque gli avesse causato un tale dolore l’avrebbe pagata. Per giorni rimase vigile cercando di scorgere un’ombra riflettersi sulla sua superficie, un suono che rivelasse la presenza di qualcuno o qualcosa, invano.
Il tempo stava cambiando. Un vento gelido proveniente dalle montagne del Nord soffiava ormai da giorni, il caldo tepore dei raggi solari si faceva giorno dopo giorno più flebile, la natura si stava pian piano ritirando. I suoni e rumori iniziavano ad acquietarsi lasciando spazio ad un penetrante silenzio, da sempre invisibile sovrano di quel luogo.
“L’inverno sta arrivando”, pensò Gölu.
“Fra poco sarò costretto a ritirarmi”, continuò, mostrando un evidente segno di disappunto per non essere stato ancora in grado di vendicare l’affronto subito.
In breve tempo il suo corpo divenne lucente come un diamante, impenetrabile, insensibile al mondo esterno. Tutt’intorno regnava una calma senza tempo, l’atmosfera si fece ovattata, il tempo sembrava essersi fermato. Sembrava impossibile che la vita avesse un giorno potuto riprendere forma in quel luogo. Gölu sapeva che per lunghi mesi sarebbe stato al sicuro da qualsiasi altro attacco ma in lui rimase ben radicato il desiderio di vendetta.
Plop. Plop.
Fu un attimo. Al suo interno correnti sempre più forti si fecero strada senza lasciarlo respirare, impedendogli di pensare ed agire. Era come se un serpente lo stesse avvolgendo tra le sue spire senza però dargli il colpo di grazia. Questa volta Gölu ebbe paura, non se l’aspettava, non riusciva a dare un senso a cosa stesse succedendo. Non capiva da dove venissero quelle sensazioni e come fare per poter alleviare tale sofferenza.
«Chi sei?», Urlò!
«Perché mi stai facendo questo?», aggiunse col poco fiato rimasto a disposizione.
Si sentì mancare, non sapeva come reagire e le poche forze in lui rimaste lo stavano lasciando. All’improvviso in lui si manifestò la necessità di chiedere aiuto. Non l’aveva mai fatto prima, non ne aveva mai avuto il bisogno. Come d’istinto, con le poche forze rimaste, iniziò a oscillare il suo corpo creando minuscole onde, piccole mani giunte in segno di preghiera rivolte verso il cielo che da qualche giorno si era colorato di un azzurro lucente. Continuò finché le forze glielo permisero e poi cadde incosciente in un sonno profondo.
In pochi istanti l’atmosfera si fece carica, elettrica, fatto inusuale per quel periodo dell’anno. Il cielo si coprì di nubi color pece, ambasciatori dell’improvviso scatenarsi di una tempesta senza precedenti. La sua preghiera era stata ascoltata. La pioggia iniziò a scendere battente, costringendo ogni essere di quel luogo a trovare rifugio. Gölu riprese pian piano conoscenza mentre tutto si era fatto buio sopra di lui. Gocce sempre più grandi iniziarono a trafiggerlo in maniera continua colpendo le zone più profonde del suo essere, riportando a galla sensazioni ed emozioni a cui non sapeva dare una spiegazione.
“Da dove arriva tanta sofferenza?”
“Come può l’acqua del cielo, mia stessa sostanza, causarmi ancor più dolore di quei vili attacchi?”.
Mentre pronunciò tali parole un fulmine lo attraversò d’improvviso illuminando il suo interno, seguito da un potente tuono che riecheggiò tra le imponenti montagne, come se il cielo volesse parlargli. In quel momento, Gölu capì.
Vide per la prima volta cosa ristagnava dentro di lui, intuì il perché di quegli attacchi. Mosso da un segno di gratitudine, ringraziò chiunque lo avesse aiutato a comprendere.
E il lavoro ebbe inizio.