Essere consapevoli ovunque
Spiritualità e concretezza nel quotidiano. Un importante componente all’interno di un percorso di ricerca interiore è imparare a infondere nella vita di tutti giorni le qualità assaporate durante la pratica svolta nella quiete ed accogliente atmosfera di casa nostra.
È un insegnamento che si apprende e comprende nel tempo, grazie anche e soprattutto alla vicinanza di abili ed esperti navigatori delle burrascose acque del mondo della spiritualità.
Poco a poco si capisce che non esiste un tempo più favorevole alla meditazione, alla pratica ed all’essere consapevoli ma che ogni momento è quello buono.
Ricordo che inizialmente la mia pratica di meditazione (se cosi si poteva chiamare) veniva svolta quasi di nascosto perché non avrei saputo come giustificare quel desiderio di star seduto più o meno immobile nella speranza che qualche misterioso fenomeno si manifestasse in me. Tantomeno mi sarei sognato di parlarne apertamente ad amici e parenti, proprio per la mia incapacità di trovare un senso e sopratutto un’utilità in quel semplice atto. Con il tempo capii che la linea di demarcazione tra ciò che è considerato spirituale e non spirituale era del tutto immaginaria e pian piano iniziai a condividere questo mio lato con chi mi stava vicino fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui la mia pagina Facebook è divenuta un costante invito a contattare la Scuola di Andrea di Terlizzi ed Antonella Spotti, Inner Innovation Project, per chiunque fosse interessato a tali tematiche.
Da un estremo all’altro insomma.
Diffusi preconcetti sulla ricerca interiore
Aprendomi giorno dopo giorno, con rinnovato entusiasmo, nel descrivere quello che per me rappresenta un tema di estrema fascinazione nella vita di uomo, la scoperta di sé, tendo ad ottenere principalmente (con rare ma entusiaste eccezioni) due tipi di reazioni: totale disinteresse o frasi fatte che spaziano del tipo:
“non ti facevo un tipo religioso”,
“Quelli che meditano sono tipi strani”,
“Ma la Madonna la vedi?”.
Ma la più gettonata, è sicuramente questa: “A me piace stare con i piedi per terra!” (frase accompagnata dal gesto di battere un piede al suolo)”.
Tralasciando le prime reazioni (a cui faccio tutt’oggi fatica a dare risposta), trovo l’ultima affermazione più interessante e maggiormente comprensibile per l’assai diffusa concezione che la meditazione, associata a un percorso di ricerca interiore, rappresenti una pratica scollegata non solo dalle ben più importanti faccende della nostra vita quotidiana ma anche da ciò che consideriamo essere “noi stessi”.
Si tratta di un vero e proprio stravolgimento di prospettiva che nasce, a mio avviso, dall’enorme confusione e quantità d’inesattezze diffuse oggi su cosa sia davvero un percorso di ricerca interiore e spirituale di cui si può trovare ampia trattazione nei libri pubblicati da questa scuola.
Mancando di un vero e proprio insegnamento in tale campo, in passato non potevo certo sapere cosa significasse ed implicasse intraprendere con serietà e costanza un lavoro di conoscenza di se stessi.
Quando iniziai ad approcciarmi a questi temi, privo di una reale guida, percepii la spiritualità come un mondo alquanto fumoso, abitato da personaggi avvolti nel mistero e caratterizzato da concetti difficilmente spendibili nella quotidianità.
Da qui, la mia incapacità di argomentare in maniera strutturata a chi mi stava di fronte, e che enunciava l’importanza di rimanere coi piedi per terra.
Spiritualità e concretezza nel quotidiano
Per quello che può valere la mia personale opinione posso garantire di non essere mai stato con i piedi per terra tanto quanto nel momento in cui decisi di dare una seria chance alla pratica dell’osservazione di me stesso e della meditazione, percorso che ha avuto un inizio ma che non avrà una fine.
Chiunque abbia intrapreso questa via può certamente testimoniare quanto si sia vissuti tra le nuvole per interi anni e di quanto il concetto di persona “radicata” sia impietosamente rovesciato nel momento in cui si realizza di non essere mai stati veramente presenti e lucidi nella stragrande maggioranza della propria vita.
Un lavoro di ricerca interiore non è certo per sognatori o per persone desiderose di evadere dalla vita di tutti i giorni. Questo lavoro, al contrario, offre gli strumenti necessari per smettere di fantasticare ad occhi aperti una vita migliore e più giusta, di sperare che prima o poi qualcosa cambierà, di dipendere dagli altri nel proprio incedere nella vita.
Questo lavoro, se svolto seriamente, lascia poco spazio alle chiacchiere. Chi svolge un lavoro su se stesso è soggetto a ricevere costanti ed amichevoli strigliate interiori per uscire dal torpore di una vita vissuta nell’inconsapevolezza delle meccaniche che minuto dopo minuto operano al nostro interno, condizionando la vita in ogni suo aspetto.
Intraprendere un tale lavoro significa riconoscere tali forze al proprio interno, desiderare dal profondo del proprio essere di divenirne padroni ed anche accettare la “sconfitta” nel momento in cui ci si sorprenda essere in loro totale balia. E’ un lavoro che forgia e disciplina la propria personalità, che aiuta ad eliminare condizionamenti instauratosi nel tempo per via della nostra inconsapevolezza, che mostra quanto complesso e meraviglioso sia l’essere umano in tutte le sue componenti, spingendoci a prenderci cura di noi stessi sotto ogni aspetto.
E’ un percorso che rende uomini e donne sempre meno vulnerabili agli inevitabili alti e bassi della vita, più affidabili, responsabili e concreti nel loro pensare e quindi agire. Ma soprattutto è un lavoro che ci avvicina in maniera più profonda e consapevole alla comprensione degli altri.
Per avere i piedi per terra non basta poterli battere sul suolo.
Il radicamento è uno stato di coscienza che va ottenuto giorno dopo giorno, senza giudizio delle proprie debolezze e con un reale desiderio di poter costruire forti radici per noi e per chi ci sta accanto.