Il pappagallo è un animale stupendo: coloratissimo, simpatico e capace di grande affetto. Le sue qualità, però, cambiano totalmente quando ad assumerle è un essere umano.
Il pappagallo umano, come il suo simpatico cugino, è capace di replicare parole altrui e lo fa talmente bene da fornire la sensazione che provengano dal suo pensiero. Il pappagallo umano però è troppo impegnato a riprodurre, per avere il tempo di creare.
Così, avviene che i concetti e le idee passino da bocca in bocca, da penna a penna, da computer a computer, senza che nessuno sappia veramente di cosa sta parlando. È l’epoca delle parole mal dette, dei concetti mal compresi, dei contenuti rapidi e superficiali, raccolti e rilanciati come fossero convinzioni personali, quando invece sono semplici repliche, immagini sbiadite d’idee altrui, l’origine delle quali si è persa nelle chiacchiere da bar.
Accade in ogni ambito, dalla politica allo sport, e non è una bella cosa. I media di rapida informazione hanno sostituito i libri e le letture più approfondite. Poche parole e si crede di aver capito, di essersi formati un pensiero; ma il pensiero vero è qualcosa che va conquistato con lo sforzo personale e sta diventando sempre più un lusso per pochi.
Tutti parlano di libertà, ma non può esistere libertà senza un vero pensiero. In quest’epoca, nella quale per la prima volta e in pochi minuti si può attingere al pensiero di persone che risiedono dall’altra parte del mondo e che non abbiamo mai conosciuto, un grande numero di persone sembra aver cessato di pensare davvero, limitandosi a riprodurre i suoni di altri, senza nemmeno averli fatti propri. E, quando si sente parlare di educazione e di preoccupazione per i giovani, vien da chiedersi: insegnare la consapevolezza di un libero pensiero non è forse la prima, fondamentale e più alta forma di educazione? Ma, forse, c’è chi ambisce a una società di futuri pappagalli, per gestire i quali è sufficiente un trespolo e qualche seme a basso costo.
La nostra cultura ha sviluppato una grande fierezza nelle capacità della mente. L’uomo moderno ritiene di “pensare in proprio” e soprattutto di saper davvero pensare. Questa convinzione è talmente radicata, che il solo fatto di metterla in dubbio crea reazioni d’intolleranza.
Pensare veramente e in modo libero è qualcosa di estremamente complesso; lo è, perché subiamo infinite e ben concepite influenze. Non possiamo affermare che il topo nel labirinto, creato da chi ne studia i comportamenti, stia passeggiando libero. Non è affatto libero e non sta facendo una passeggiata; è invece costretto in un percorso privo di scelta, indotto da fattori esterni.
Il pensiero comune è un po’ simile al muoversi del topolino: esiste un labirinto di percorsi mentali ripetitivi che si è creato e consolidato a una certa età. Benché si creino innumerevoli varianti, che danno la suggestione di pensare in maniera libera, fondamentalmente ci si muove in uno schema ripetitivo.
Un altro aspetto da considerare è che la maggior parte delle persone confonde il pensiero con le emozioni. Se ad esempio ci arrabbiamo con qualcuno e partono tutta una serie di pensieri nei suoi confronti, abbiamo la sensazione di “ragionare”, ma in realtà non esiste alcun vero ragionamento, perché gli stati emotivi dirigono le funzioni del pensiero. Pensiero ed emozioni non dovrebbero viaggiare mano nella mano; sfortunatamente è quasi sempre così.
Questo fenomeno è anche quello che permette di esercitare pressioni sulle masse attraverso le emozioni. Gli imbonitori, i grandi motivatori, i profeti dell’ultima ora, in qualsiasi ambito sociale sfruttano l’infiammabilità delle emozioni umane per dirigerle verso un pensiero che poi è percepito come proprio (e che proviene invece e totalmente dalle influenze subite). Questo è il motivo per cui tutti i poteri costituiti non vedono di buon occhio la libera informazione e un’educazione mirante alla libertà di pensiero. Più il pensiero diventa autonomo e libero, infatti, meno è soggetto a essere colorato dalle emozioni indotte dall’esterno.