Afferro la maniglia e apro la portiera, l’odore di pelle pregiata invade le mie narici, infilo la gamba destra e mi abbasso, nel caratteristico movimento necessario per evitare di cozzare la testa contro il tetto.
Il sedile è avvolgente, come piace a me, studiato appositamente per contenere il corpo nelle curve percorse ad alta velocità. Accarezzo con lo sguardo l’essenziale sportività degli interni: la qualità dei materiali utilizzati, la grafica della strumentazione, la scelta dei colori e degli abbinamenti.
Davanti ai miei occhi noto subito l’ovale del contagiri e, appena più a destra, il tachimetro, neri entrambi con numerazione e lancette rosse. Infine mi decido, giro la chiave e metto in moto. Il rombo, simile al ruggito di un giaguaro, invade l’abitacolo trasmettendomi un brivido di puro piacere. Il suono di questo otto cilindri aspirato è musica per le mie orecchie. Come un antico mantra la vibrazione si trasmette al plesso solare, percorre la colonna vertebrale, arriva alla nuca e lì staziona, producendo una sorta di benefico massaggio.
Abbasso il capo ruotandolo leggermente verso destra, i miei occhi intercettano la leva del cambio che termina con una piccola sfera nera con i bianchi numeretti delle marce incisi sopra, la impugno e mi soffermo per qualche secondo ad ammirare l’acciaio spazzolato del selettore a sei spazi, vero capolavoro estetico. Schiaccio la frizione e innesto la prima, indietro, come si usava su questo tipo di vetture prima dell’avvento dei cambi sequenziali. Mollo il pedale e contemporaneamente do gas, l’auto parte in leggera derapata che prontamente correggo con un piccolo controsterzo.
Seconda… terza… e poi quarta, in pochi secondi sono già oltre i 200 orari. Metto la quinta e rallento. Davanti a me un lungo rettilineo, abbasso lo sguardo sulle mie mani che stringono il volante in corrispondenza delle due razze, al centro del quale vi è un cavallino rampante, nero, in campo giallo. Sono alla guida di una Ferrari, rossa naturalmente, con interni in pelle, nera naturalmente.
La passione per le auto mi accompagna da quando ero un bimbo, trasmessami da mio padre e, soprattutto, dal più giovane tra i miei numerosi zii, vent’anni più anziano e capricorno, come me. All’età di dieci anni mi mise al posto di guida della sua fiammante Mini Cooper blu, avvicinò al massimo il sedile al volante e m’insegnò a guidare, senza darmi il tempo di pensare e farmi venire qualche possibile paura. L’auto che sto guidando appartiene a lui, è una Ferrari degli anni ’80, quando l’elettronica non era così invadente, il rombo era più pulito ed educato e le marce si inserivamo ancora manualmente, usando la frizione.
Non sono mai stato tanto interessato alla parte meccanica, ma piuttosto all’estetica e alle prestazioni. Le auto mi piace guardarle e, soprattutto, guidarle. Infatti più che di macchine potrei definirmi un appassionato di guida. Quando ero piccolo e mi chiedevano che cosa avrei voluto fare da grande io rispondevo: “Il pilota di formula 1”.
L’insegnamento che ho ricevuto in questi anni nel mio percorso di ricerca mi ha portato a comprendere che il piacere va trovato in ogni aspetto della vita e ogni esperienza che facciamo è un’occasione per osservare e imparare qualcosa di nuovo, su noi stessi e sul mondo che ci circonda. Non esiste il sacro da una parte e il profano dall’altra, l’alto e il basso, esiste solo un giusto modo di affrontare ogni situazione, con mente sveglia e cuore aperto, senza preconcetti.
Ecco quindi il piacere estetico che nasce nel guardare l’equilibrio delle linee di un’auto sportiva, il disegno dei cerchi, la forma dei fanali, i dettagli, le cromature, ma non è solo questo… automobili come le Ferrari vengono ancora costruite con un alto tasso di artigianalità e il ruolo dell’uomo, della sua manualità, è ancora determinante. Io credo che chi chiunque abbia un minimo di sensibilità e provi a guardare quegli oggetti non unicamente come degli status symbol, non possa non riconoscere che chi concepisce, progetta e realizza qualcosa di così curato e raffinato debba essere rispettato e ammirato. Sì perché non siamo di fronte ad un semplice oggetto, lì dentro c’è passione, intelligenza, sensibilità, nel tentativo di raggiungere, seppure in quel piccolo (e magari per qualcuno insignificante) ambito, la più alta bellezza e le massime prestazioni. È l’eterno desiderio di elevarsi, di superarsi, puntando all’eccellenza e rinunciando alla mediocrità, facendo qualcosa che prima non era mai stato fatto e che segnerà, forse, un punto di svolta o comunque un riferimento importante all’interno di quel mondo per il futuro.Piacere di guardare e piacere di guidare.
Un giorno un amico, sapendo della mia passione, mi chiese che cosa trovassi di così bello nella guida ma sul momento non seppi proprio cosa rispondere. In seguito a quella domanda rimasta senza risposta mi misi a indagare e alla fine capii. La spinta che produce un’auto dotata di molti cavalli è indubbiamente un’emozione unica, chi l’ha provata anche solo come passeggero può capire cosa intendo. Ma c’è di più, credo che collegato a quello ci sia il desiderio, l’esigenza, di viaggiare nella vita ad una velocità maggiore e con un “altro” tempo.
Ma sopra ogni cosa ho capito che per me guidare è come danzare, fra una curva e l’altra. L’auto diventa un prolungamento del tuo corpo e tu ti muovi fra le curve cercando di armonizzare il più possibile il gesto. Tutto ciò si accentua e si esalta se hai la possibilità di guidare in pista, in totale (o quasi) sicurezza. Giro dopo giro cerchi di migliorarti, in ogni curva devi trovare il giusto equilibrio, dosando la frenata, l’angolo dello sterzo, il piede sul gas. Concentrazione, precisione, sensibilità, ritmo, armonia… bellezza. Guidare per me non è solo emozione, è ricerca della perfezione.
Il mio giretto col Ferrarino è già terminato. Ringrazio lo zio e scendo dall’auto. Lo saluto con la mano e assaporo, ancora per qualche secondo, il rombo del motore. Mentre osservo l’elegante silhouette rossa allontanarsi verso un orizzonte infuocato dal tramonto, una sottile nota malinconica s’insinua ed evoca in me ricordi di un lontano passato… ma questa è un’altra storia.