Emme osservava spesso le altre persone.
Quando lo faceva, si domandava: Sono consapevoli di esistere, come lo sono io, o la loro è tutta una finta?
Ogni tanto poneva a qualcuno la domanda. Immancabilmente si sentiva rispondere: Che diamine! Certo che so di esistere, sono un Homo sapiens sapiens io! Non solo so di esistere, ma so anche di saperlo!
Emme non sapeva come interpretare quelle dichiarazioni. Se nel quotidiano i sapiens erano in grado di scimmiottare il loro “so di esistere”, comportandosi come entità apparentemente autoconsapevoli, allora con la stessa facilità avrebbero potuto scimmiottare le loro risposte! A meno che, beninteso, nell’istante in cui lui poneva loro la domanda, non si svegliassero da un lungo sonno – giusto il tempo per rispondere – per poi ripiombare nella loro “trance meccanica”, assorti dal flusso ipnotico dei loro pensieri e dall’incedere inerziale dei loro corpi.
A volte Emme si chiedeva, preoccupato: E se lo stesso valesse anche per me?
Di certo non lo poteva escludere.
Quando rifletteva e s’interrogava con una certa intensità, avvertiva una strana sensazione nell’area del cervello. Qualcosa come una pressione, una corrente, una vibrazione, un movimento espansivo, che a volte si propagava dalla testa fino ai piedi.
Aveva allora l’impressione di… Rinascere a sé stesso!
Era davvero stupefacente come il solo chiedersi: Sono presente a me stesso e al mondo?
Era in grado di risucchiare, entro i confini tridimensionale del suo corpo fisico, un intenso flusso di autocoscienza: un vero e proprio processo di… Incarnazione consapevole.
In quei rari momenti, poteva affermare con relativa certezza che il suo “essere consapevolmente autocosciente” non presentava interruzioni di sorta, ma una piena continuità.
Una piena continuità di coscienza autoconsapevole.
Poi però, nella misura in cui la sua interrogazione si faceva più fievole, quel suo… Ricordo di sé, quella sua chiara percezione di esistere senza discontinuità, sbiadiva. Nuovamente veniva catturato dal ritmo ipnotico dei suoi automatismi psicofisici e mentali, dalle sue innumerevoli routine e subroutine.
Nuovamente moriva a sé stesso.
Ma c’erano dei giorni in cui Emme riusciva a mantenere la presenza vigile più a lungo del solito.
In quei momenti aveva l’impressione che la sua coscienza si scollasse leggermente dal corpo, che percepiva simile a una tuta da sommozzatore, con tanto di scafandro e di visore.
Si ritrovava così ad osservare la realtà attraverso la stretta apertura dei suoi schermi oculari, avendo la chiara sensazione che la sua “tenuta biologica” fosse dotata di un complesso sistema di alimentazione, senza il quale non avrebbe potuto funzionare.
Grazie alla muta, era in grado di esplorare in lungo e in largo la dimensione materiale, entro la quale si trovava temporaneamente immerso.
Molti erano gli scafandri che incontrava, e spesso si domandava: Sono tute vuote, o c’è qualcuno all’interno?
Quando Emme sperimentava i suoi momenti di intensa lucidità, non dubitava mai che il suo scafandro fosse abitato da un principio intelligente. Non solo autocosciente, ma altresì autoconsapevole. Un principio che lui, amichevolmente, chiamava… Me.
Non sempre però era sicuro dell’esistenza degli altri Me.
Sapeva che gli scafandri erano apparecchiature sofisticate, dotate di un complesso processore multicefalo, in grado di compiere ogni sorta di operazione, con ampia autonomia. Molti di questi automatismi erano di grande utilità. Ad esempio, consentivano alle tute somatiche di nutrirsi, per mezzo del meccanismo della fame; di creare ripari, per mezzo del meccanismo della sopravvivenza; di rimanere in vita abbastanza a lungo per produrre nuove tute e crescerle con cura, per mezzo dei meccanismi dell’attrazione sessuale e dell’istinto genitoriale.
Ma per quanto sofisticata fosse la sua tuta, Emme sapeva che non era tutto. C’era qualcosa che si situava oltre i suoi complessi programmi di funzionamento. Qualcosa che le impediva di perdere integrità e degradarsi: un’energia luminosa e informata che Emme era in grado di avvertire quando la sua coscienza era lucida e all’erta. In una parola, quando era… Pienamente autoconsapevole.
Pensando all’energia senziente, al suo Me, Emme si percepiva a volte simile a una lampadina.
Quando la sua attenzione era tutta rivolta alla lampadina, questa brillava più intensamente, irradiando una luce calda e multicolore. Ogni volta era un’esperienza bellissima, che lo faceva sentire… Vivo!
Quando la sua lampadina era accesa, osservando le altre persone scopriva che anch’esse erano simili a delle lampadine.
La più parte però emettevano una luce molto fioca, e sembravano quasi spente. Altre invece erano davvero molto brillanti, ma alquanto rare.
Grazie alla visione delle lampadine, Emme poté rispondere alla sua domanda: coloro la cui lampadina è accesa, sono consapevoli di esistere; coloro invece la cui lampadina è spenta, o quasi spenta, lo hanno dimenticato, o forse non lo hanno mai saputo.
Le tute accese erano quelle abitate da un… Me luminoso.
Le altre invece erano come vuote: se all’interno c’era qualcuno, allora quel qualcuno stava dormendo!
Ma la visione di Emme era così nitida solo nei momenti in cui la sua stessa luce brillava intensamente. Altrimenti, nei lunghi periodi di incoscienza, quando veniva colto dal sonno ipnotico della meccanicità, anch’egli, come tutti gli altri…
Viveva di sola luce riflessa.
Così, quando si risvegliava, magari in seguito a una forte emozione, realizzava che il suo Me si era nuovamente addormentato, entro quella comoda e sofisticata tuta interdimensionale. S’immaginava allora una sala cinematografica, dove proiettavano sempre lo stesso film, in continuazione, senza che vi fossero spettatori. O meglio, in presenza sì di spettatori, ma tutti addormentati.
Emme desiderava svegliarsi.
Voleva assistere a quella proiezione con lo sguardo critico e creativo di un regista. Voleva essere lui a scrivere il copione della sua vita. Ma per farlo doveva svegliarsi. E, soprattutto, una volta sveglio doveva rimanerlo il più a lungo possibile. Solo in questo modo la sua intelligenza reattiva si sarebbe trasformata in intelligenza attiva, creativa, propositiva. Solo così sarebbe divenuto… Padrone del proprio destino.
Doveva escogitare qualcosa: un trucco, un metodo, una tecnica… qualcosa che lo aiutasse a…
Non dimenticarsi di sé.
O meglio, a non dimenticarsi del proprio Me.
Assorto com’era nei suoi pensieri, sul momento non si accorse che i suoi occhi stavano fissando un oggetto luccicante, esposto nella vetrina di un negozio: un anello. Senza nemmeno chiederne il prezzo, Emme lo acquistò, facendo incidere sul suo lato interno la parola “sveglia!”
L’anello era il suo espediente, la sua radiosveglia silenziosa, il simbolo della sua alleanza con il suo Me, la celebrazione di un matrimonio interiore che lo avrebbe ridestato da un sonno millenario.
Il sonno della sua coscienza.
Ogni volta che avesse posato gli occhi su quella fede, per semplice associazione mentale si sarebbe ricordato di…
Esistere!
O, più esattamente, di…
Essere un Essere.
Questa era la strategia: usare la meccanicità della sua mente per combattere la meccanicità della sua mente.
Il limite contro il limite.
Una strategia paradossale. Un doppio legame. Più la sua mente si fosse ribellata, intensificando le associazioni meccaniche, più l’anello sarebbe divenuto potente, in quanto figlio di quelle stesse associazioni. Più la sua mente avesse tentato di sottrarsi al potere dell’anello, riducendo il suo ronzio ipnotico, più quel silenzio assordante avrebbe finito con lo svegliarlo.
Aveva messo in trappola il suo processore multicefalo. Ora era nuovamente lui ad avere il controllo. Il controllo del cocchiere, della carrozza, e dei cavalli.
Fiducioso, Emme s’immerse nuovamente nel fluido denso della vita intrafisica. Forte del suo matrimonio interiore, ogni volta che i suoi sensi percepivano la presenza dell’anello, marcava una breve pausa.
Uno spazio temporale che creava uno spazio esistenziale.
Lo spazio di una possibilità di contatto con il suo Me, che assumeva ogni volta le modalità più disparate: un respiro, un sorriso, una carezza, una sensazione di calore, una
vibrazione…
La lampadina di Emme prese così a brillare di una luce intermittente, dal ritmo prima lento e irregolare, poi sempre più rapido e cadenzato. In breve, la condizione di Emme si era completamente rovesciata. Se prima trascorreva le sue giornate immerso in una semioscurità, interrotta da pochi e brevi flash imprevedibili, ora la sua tuta emanava una luce assai diffusa e regolare. Una luce ancora debole, certo, ma sufficiente per distinguere le numerose ombre e penombre che popolavano il suo…
Universo interiore ed esteriore.
Emme non ci mise molto a comprendere che lo stratagemma dell’anello era solo il principio iniziatore di un processo autosostenuto e autocosciente, di più ampio respiro, che lo avrebbe portato a mutare radicalmente la natura della sua radianza interiore. Fu così che nella quiete di quella sua nuova condizione cominciò a discernere nuovi suoni. Primo fra tutti, quello del suo respiro.
Quello che un tempo era il rumore sordo di un mantice meccanico e inconsapevole, divenne progressivamente il ritmo armonico su cui presero a danzare le sue azioni.
Il ritmo di manifestazione del suo Me.
Emme si accorse che tutto attorno a lui respirava: dal più microscopico batterio al più smisurato degli ammassi galattici.
L’universo intero respirava.
Quando Emme era sveglio, riusciva a sintonizzarsi con il respiro dell’universo. E quando ciò accadeva, osservava che il suo respiro diveniva più sonoro, come quando sussurrava qualcosa sottovoce, contraendo morbidamente la glottide.
Facendosi più sonoro, il respiro diveniva anche più consapevole. Quando inspirava il suono era: Haam…
Quando invece espirava il suono era: Saah…
E nel ciclo del suo respiro, i due suoni si rincorrevano:Haam… Saah… Haam … Saah… Haam… Saah… dando vita a una musica dolce, simile alla risacca del mare.
Proprio come il flusso del moto ondoso del mare, quando Emme respirava consapevolmente, avvertiva muoversi, entro i confini della sua tuta biologica, una forte corrente di energia.
Quando inspirava, con il suono haam, l’energia ascendeva, dalla base dello scafandro fino all’elmo. Quando espirava, con il suono saah, l’energia discendeva, dalla regione del suo processore multicefalo fino alla base dei piedi. E così via.
Mentre respirava, Emme spazzolava su e giù il suo veicolo corporeo, in un movimento oscillatorio, ritmato, armonico.
Sempre più assiduamente e regolarmente, Emme prese ad esplorare il potenziale insito nel suo respiro; le intense correnti di energia ascensionale e discensionale che questo era in grado di promuovere. Col tempo e con la pratica riuscì a percepire sempre più distintamente quell’onda, che si propagava su e giù, lungo l’asse portante del suo corpo fisico.
Col tempo Emme si accorse che per quanto l’energia fosse portata dal respiro, il suo moto non era vincolato ad esso.
Il respiro muoveva l’energia così come le correnti del mare muovono un nuotatore. Ma un nuotatore sufficientemente allenato è in grado di direzionarsi nel mare a prescindere dalle sue correnti. E lo stesso accadeva con quella strana energia extra-fisica che Emme percepiva sempre più distintamente muoversi nella sua tuta, lungo l’asse della sua colonna.
Quell’energia, per quanto sospinta su e giù dal suo respiro, obbediva di fatto al… Comando della sua volontà.
Emme imparò così a concentrarsi, dirigendo l’energia unicamente con la forza della sua volontà. Solitamente, cominciava usando il respiro consapevole:
Haam… Saah… Haam … Saah… Haam… Saah…
Poi, come in una gara a staffetta, il respiro passava il testimone alla volontà, per accrescere ulteriormente la potenza di quel movimento oscillatorio, sganciandolo completamente dal respiro.
Emme riusciva a percepire quella strana energia direttamente. Non si trattava di mera immaginazione, o visualizzazione: riusciva a sentirne la presenza e la consistenza, in modo chiaro e incontrovertibile.
Quando, muovendo l’energia, percepiva delle interruzioni, semplicemente ne accresceva la quantità, muovendola con più forza attraverso quelle aree che sentiva bloccate.
E quando il movimento diveniva fluido a sufficienza, Emme muoveva l’energia sempre più velocemente, cercando di non perdere mai il ritmo.
La muoveva dalla testa ai piedi, e dai piedi alla testa, senza interruzioni, senza pause, attraversando l’intero asse del suo soma.
La muoveva sempre più velocemente.
E più velocemente ancora.
A volte più veloce di quanto era in grado di immaginare.
E a volte ancora più veloce di così.
Durante la pratica il suo corpo rimaneva totalmente rilassato. Il suo respiro perfettamente naturale. L’energia, infatti, non si manifestava a livello fisico. Era un’energia sottile… Puramente extrafisica.
Alcune volte, quale conseguenza di questa sua pratica, tutto il suo corpo di energia si attivava, e veniva avvolto, sia internamente che esternamente, da una possente vibrazione. Entrava così in uno…
Stato vibrazionale.
Uno stato di risonanza del suo corpo di energia.
In quei momenti Emme non doveva fare più nulla. Quella vibrazione, infatti, era in grado di perdurare e autosostenersi a lungo, senza più l’intervento della sua volontà.
A volte, quando riusciva a installare lo stato vibrazionale, aveva l’impressione di smaterializzarsi, di divenire invisibile. Gli specchi continuavano a riflettere l’immagine della sua tuta, ma era come se le altre tute smettessero di accorgersi della sua presenza.
La sua vibrazione diveniva così rapida che gli altri non riuscivano più a percepirlo. O allora, se lo percepivano, sembravano non accorgersene.
Col tempo Emme imparò ad attivare lo stato vibrazionale sempre più di frequente, trasformando il suo corpo di energia in un veicolo sempre più grande, forte e fluido. Sempre più responsivo all’azione della sua volontà.
Imparò altresì che una vibrazione elevata era in grado di tenere alla larga le influenze dei numerosi esseri non-fisici, di bassa natura vibrazionale, che continuamente assediavano le numerose lampadine semi-spente, peggiorando la loro già difficile condizione.
Imparò anche che una vibrazione elevata era in grado di allentare l’influenza che la sua tenuta biologica esercitava sul suo Me.
Il suo lavoro con l’energia gli permetteva la notte di rimanere sveglio, anche quando il suo processore multi-cefalo si spegneva. E quando questo accadeva, era in grado di abbandonare la sua attrezzatura da immersione, il suo scafandro somatico, ed esplorare nuove dimensioni di esistenza.
Emme divenne così consapevole della sua natura multidimensionale, multimateriale e multiesistenziale.
Divenne consapevole del fatto che il suo Me era in grado di abitare scafandri di diversa densità, preposti a immersioni in acque multimateriali di diversa natura.
A sua grande sorpresa, si accorse che anche negli altri strati dimensionali dell’esistenza il problema delle lampadine spente persisteva. Anzi, a volte addirittura peggiorava.
Decise così di dotarsi di un secondo anello, di natura extrafisica. Questa volta però non era necessario comprarlo in un negozio: doveva semplicemente fare spazio nella sua mente, concentrarsi e visualizzare intensamente l’anello, in tutti i suoi dettagli. Questo era sufficiente per crearlo.
Infatti, nelle dimensioni più sottili, la materia era più duttile. Maggiormente responsiva all’azione della mente.
Questo rendeva queste dimensioni particolarmente insidiose per le lampadine spente, o semi spente. Infatti, spesso non si rendevano conto di vivere entro veri e propri mondi di sogno, creati dalla loro stessa immaginazione.
A volte Emme si chiedeva, preoccupato: E se lo stesso valesse anche per me?
Di certo non lo poteva escludere.
Ma quando rifletteva e s’interrogava con una certa intensità, avvertiva una strana sensazione nell’area del suo paracervello. Qualcosa come una pressione, una corrente, una vibrazione, un movimento espansivo che a volte si propagava dalla paratesta fino ai parapiedi.
Aveva allora l’impressione di… Rinascere a sé stesso!