Dice un proverbio del Quebec: “Compito dei genitori è donare due cose ai figli: le radici e le ali”.
Sono mamma di tre ragazzi, due dei quali a giorni, ognuno con una destinazione diversa, cominceranno a sbattere le loro ali e volare via, per i loro studi. Rimane il “piccolo” ma sempre anche lui in viaggio per seguire la sua passione sportiva.
Non nascondo quanta tristezza ci sia nel mio cuore per il distacco ma c’è anche molta ammirazione nel veder in loro la forza e il coraggio di lasciare il loro agiato nido per seguire la propria via.
È proprio in questi momenti che tocchi qualcosa di veramente profondo, qualcosa che è lì che aspetta di essere ascoltato e vissuto in tutte le sue sfumature, è un grande sentimento che mi lega così tanto ai miei figli, a ciò che più amo.
Ma cosa significa donare le radici?
Dare un senso di appartenenza ad una famiglia, a una terra? Dare dei valori? Dare punti di riferimento?
Ci prendiamo da sempre cura di loro, li nutriamo, li accudiamo, gli insegniamo a parlare, a camminare, facciamo attenzione a che conducano una vita sana e ordinata, che possano studiare, trovare un lavoro, che trovino una loro stabilità e serenità, insomma li proteggiamo in tutto ciò che possiamo.
Ma è tutto qui?
Credo che ci sia altro, qualcosa di molto più importante.
Il vero dono che possiamo fare ai nostri figli è stargli accanto dandogli la possibilità di vedere e comprendere se stessi al di là di ciò che è stato loro raccontato, insegnato, a ciò che credono di essere, al di là dei condizionamenti, di tutte quelle regole etiche, religiose che la società impone.
Lasciarli liberi, non certo di fare quello che vogliono, ma liberi di fare esperienze dirette e intime della verità, di ciò che sono, di indagare la loro natura, il loro essere, il mondo in cui vivono.
Liberi di sentire e scegliere ciò che più risuona con la loro parte più profonda, saperla ascoltare ed esprimere senza timori.
Liberi di sviluppare quella sensibilità, quell’intelligenza, quella forza che li potrà aiutare a trovare un equilibrio di fronte alle avversità della vita.
Liberi di scoprire da soli la loro strada, il significato e il possibile senso della vita.
Ma talvolta rischiamo di essere super protettivi e non ci accorgiamo che dietro la parola amore, dietro il credere di agire per il loro bene, nascondiamo invece spesso la nostra paura. Paura che accada loro qualcosa, paura che non stiano bene, paura di non riuscire a dare loro ciò di cui hanno bisogno, paura di lasciarli andare perché senza di noi pensiamo non possano farcela. Una paura che ci porta a dire loro cosa è bene e cosa è pericoloso, cosa fare e cosa evitare. Una paura che li può soffocare.
Siamo deboli in questo, perché abbiamo troppa paura di vederli soffrire!
Vogliamo dare loro sicurezze! Ma quali sicurezze?
La sicurezza nel possedere un titolo di studio, un buon lavoro, la sicurezza in relazioni stabili, in idee e credenze?
Se li prepariamo semplicemente a guadagnarsi da vivere non li aiuteremo a comprendere che la vita è molto di più. Non li aiuteremo a sviluppare quell’intelligenza del cuore che li può aiutare a comprendere la vastità della vita in tutte le sue sfumature, con la sua straordinaria bellezza, i suoi dolori e le sue gioie.
Non esistono sicurezze esterne! E il bisogno di queste ci rende deboli e dipendenti!
Dobbiamo aiutarli a comprendere che ciò che ognuno di noi cerca, la gioia, la pace, la serenità, in realtà sono dentro di noi, solo che non lo sappiamo, non lo vediamo perché cerchiamo appagamento e sicurezza nelle cose effimere e mutevoli.
La vera felicità è realizzare ciò che si è! È sentire quel profumo che ci appartiene naturalmente. Non possiamo impedire che questo avvenga!
Certo sarebbe molto più facile dare regole, limitarsi ad osservare che le osservino, dare premi e punizioni, è un modo sicuro e facile di educare, ma non è lascarli vivere, è annidare in loro paure, condizionamenti, identificazioni.
La vita va vissuta con passione e curiosità!
Dobbiamo cercare di creare attorno a noi e a loro un’atmosfera libera da paure e bisogni.
Dobbiamo stimolarli ad indagare, a incuriosirsi, a provare le loro esperienze!
Credo che un genitore oltre a fare ciò che un genitore deve fare, debba in primis essere e permettere di essere, mostrarsi per ciò che si è, esprimere i propri pensieri pur senza aspettarsi che vengano ascoltati e accolti, accogliere le debolezze dei propri figli senza celare le proprie, lasciarli sbagliare, cadere, per poi tendere la mano per aiutarli a rialzarsi. Fare cioè del proprio meglio e dare il meglio che si può dare ad un figlio, senza aspettarsi nulla.
Non ho mai voluto essere l’amica dei miei figli, sarebbe stato andare oltre ciò che una mamma è, ma ho sempre parlato molto con loro, ho cercato di essere una buona compagna, di stare loro accanto stuzzicando la loro curiosità accennando talvolta a concetti un po’ diversi dall’usuale parlare, dando loro cose “strane” anziché le più conosciute medicine, lasciando libri in giro per incuriosirli.
Ora mi stanno dimostrando che qualcosa è stato colto e che sono pronti a fare il loro passo, in autonomia.
Essere mamma è il dono più grande che abbia ricevuto!
Spero che i miei figli portino con sé un’unica radice, l’amore.
E…. buon Viaggio, ragazzi!