INTELLIGENZE ARTIFICIALI
Non è sempre facile capire se una persona è davvero intelligente e quale sia la reale differenza tra l’intelligenza artificiale e quella umana. Troppo spesso l’intelligenza è confusa con la cultura (intesa come semplice acquisizione di dati), l’abitudine a parlare e scrivere o la capacità di comunicare se stessi e vendere bene il prodotto della propria immagine; ma per essere un buon venditore non è necessario essere intelligenti, basta avere studiato le migliori tecniche di vendita.
Anche le oggi tanto idolatrate intelligenze artificiali possono trarre in inganno. Si potrebbe dialogare via mail con una di esse per molto tempo, prima di accorgersi che dall’altra parte esistono solo un ammasso di dati capaci di riprodurre un dialogo umano.
Questo non è tanto strano, dato che il cervello umano funziona nel medesimo modo. Non potrebbe essere altrimenti, considerato il fatto che l’intelligenza artificiale l’abbiamo creata – pardon, costruita – proprio noi.
Oggi alcune persone di considerevole rilievo, in termini di conoscenze tecnologiche, come ad esempio Geoffrey Hinton, proclamano a gran voce i pericoli futuri per lo sviluppo di sempre più potenti intelligenze artificiali. Questo fa pensare a dispotici film e racconti di fantascienza sulla perdita di controllo della società umana, in seguito alla colonizzazione di A.I.
Esiste però qualcosa di altrettanto preoccupante di cui si parla assai poco. Anzi, dal mio punto di vista, molto più preoccupante. Cioè, il fatto che le intelligenze artificiali funzionano esattamente come il nostro cervello. Possiamo quindi chiederci: quante persone, con le quali dialoghiamo quotidianamente, compresi coloro che ci governano, usano realmente l’Intelligenza? La domanda è legittima non solo come logica conseguenza dell’aver studiato il meccanismo delle intelligenze artificiali e del cervello umano, ma anche e soprattutto per l’osservazione del mondo in cui viviamo. Miscelare i dati assimilati in una vita non significa necessariamente usare intelligenza.
Sull’intelligenza artificiale tornerò brevemente dopo. Vorrei fare al momento qualche riflessione su quella che dovrebbe essere l’intelligenza umana. Quale è la reale differenza tra intelligenza artificiale e umana?
Cos’è l’intelligenza?
Secondo la lingua italiana, intelligente è colui che ha la facoltà di “intendere”, ossia di capire le cose. È una buona definizione, anche se bisogna accordarsi sul significato di “intendere”. A scuola, ad esempio, già nei primi anni di esperienza, non è raro che siano considerati intelligenti quei bambini che assorbono con facilità le nozioni presentate dall’insegnante, per poi ritradurle con lo stesso schema attraverso cui le hanno assimilate.
Al contrario, accade che i bimbi “alternativi”, i quali si muovono in territori meno meccanici, seguendo un loro personale percorso di comprensione, finiscano per essere considerati “difficili”.
Si dovrebbe però considerare che essere una “macchina ben oliata” non equivale ad essere intelligenti.
Cosa vuol dire, allora, intendere? Capire davvero? Per comprendere, per essere intelligenti, occorre la combinazione di due fattori: un intelletto sviluppato e una grande capacità di percezione emozionale o “empatia”.
Difficilmente senza “cuore” è possibile ottenere un alto grado d’intelligenza; questa si crea quando cuore e intelletto funzionano all’unisono. Forse è per questo che molti “illustri” personaggi che dirigono le sorti delle varie nazioni appaiono spesso poco intelligenti. Non è l’intelletto che manca loro (non sempre), ma il cuore.
Due persone osservano il medesimo fenomeno: una delle due legge e riconosce solo quello che è contenuto nel suo database intellettivo, senza percepire empaticamente ciò che si verifica davanti ai suoi occhi. In realtà sta guardando solo ciò che è presente nella sua esperienza e legge l’esterno attraverso il cammino già percorso.
L’altra, prima coglie empaticamente l’avvenimento e, subito dopo, va alla ricerca di fenomeni simili nella memoria del suo database. Se non trova nulla di riconoscibile incomincia a indagare su ciò che osserva, alla ricerca di nuovi dati comprensibili e, se ancora non trova nulla, incamera nel database intellettivo tutto ciò che ha notato, accettando di lasciarlo momentaneamente senza spiegazioni definitive.
Nel corso di tale processo assimila attraverso la sua sensibilità tutto quello che può, che sia conosciuto o sconosciuto.
Ciò che ha archiviato gli servirà in seguito, quando troverà altri fenomeni che potranno essere ricondotti a quei dati. In questo modo, avanzando per “percezione” e per intelletto, tenendoli ben separati ma facendoli collaborare, potrà imparare cose nuove.
Un fattore rilevante per lo sviluppo dell’intelligenza è la capacità di mettere in relazione fenomeni apparentemente inconciliabili fra loro o riconoscere la disuguaglianza di fondo in altri che appaiono simili. Se guardiamo un oggetto colorato e profumato e ci spiegano che si chiama “fiore” l’intelletto tende a ritenere che qualsiasi cosa profumata e colorata, simile alla prima, sia essa stessa un fiore. Il pensiero cataloga i fenomeni senza empatia, senza percezione, ma semplicemente per associazione meccanica.
Un fiore, però, non è tale solo per il colore, il profumo e la consistenza. Esso possiede qualcosa di intimo che lo rende tale. Ogni cosa ha una sua vita, un’essenza delicata e invisibile che ne costituisce la natura e il cuore. Il pensiero meccanico non può percepire tali distinzioni perché legge solo dati concreti e privi di sfumature. Ecco perché il “cuore” è fondamentale per sviluppare l’intelligenza. Solo cogliendo per sensibilità l’essenza di ciò che osserviamo possiamo mettere in relazione i vari fenomeni della vita, scoprendo i collegamenti dietro alle apparenze e costruendo un sempre più complesso database intellettivo, vivificato dalla sensibilità.
Sviluppare intelligenza
L’intelligenza può essere sviluppata. Per farlo, dobbiamo allenare l’osservazione priva di giudizio. Quando vediamo qualcosa che somiglia a ciò che già conosciamo il pensiero meccanico lo associa immediatamente.
Bisogna addestrarsi a frenare queste associazioni meccaniche. Di solito, quando abbiamo stabilito che una cosa è in un certo modo, cessiamo di osservarla.
Esiste un fenomeno ben conosciuto che può spiegare quanto detto: la cecità al cambiamento. Migliaia di esperimenti hanno dimostrato che se una persona è convinta di aver già visto qualcosa, anche se questa muta sotto i suoi occhi, essa continuerà a scorgerla per come è convinta che sia. Per quanto possa sembrare incredibile, è proprio così. La cecità al cambiamento è alla base di quelle meravigliose e apparentemente miracolose illusioni che sono capaci di creare i prestigiatori e gli illusionisti.
Tutto ciò che è rigido, mentalmente ed emotivamente, impedisce lo sviluppo dell’intelligenza.
L’intelligenza è aerea, fluttuante come lo è la vita, nella quale non troviamo nemmeno due fili d’erba che sono fra loro perfettamente uguali. È quasi impossibile che una persona rigida e troppo sicura di sé sia anche intelligente. Può essere colta, avere grandi competenze, essere furba, ma difficilmente sarà davvero intelligente.
Empatia e raziocinio sono fondamentali e non solo nei fatti più complessi della vita. Perfino in una trattativa di affari è impossibile usare l’intelligenza senza quella sensibilità che ci permette di percepire le reazioni (anche nascoste) del nostro interlocutore. Possiamo avere conoscenze enormi, grandissime competenze e una database intellettivo ricchissimo, ma se non capiamo in tempo reale che una certa parola ha prodotto l’effetto sbagliato non possiamo cercare rapidamente la soluzione al problema in atto.
Avere un intelletto sviluppato senza empatia serve a poco. Solo quest’ultima ci permette di cogliere le variazioni in atto, in tempo reale. Essa ci mette in grado di avere intuizioni dinanzi a situazioni impreviste (che non fanno parte delle nostre pregresse esperienze). Solo con l’intelligenza, infatti, è possibile far fronte al nuovo. L’intelletto, il sapere, la cultura fanno parte di ciò che è stato. Possono essere luci potenti, ma servono solo a illuminare e riconoscere il sentiero già percorso.
Di fronte a quello che non conosciamo non servono granché. Se abbiamo sviluppato l’intelligenza, invece, possiamo imparare molto più rapidamente, anche in un contesto che non ci è consono. E… cosa molto importante… l’intelligenza cessa di svilupparsi quando crediamo di sapere già. Ferree convinzioni e troppo ego sono la via diretta alla stupidità.
Uomo o macchina?
Desidero concludere questo articolo con una semplice riflessione: se le intelligenze artificiali sono state costruite riproducendo il sistema di immagazzinamento dati del nostro cervello, cosa differenzia l’essere umano da una macchina?
Il non a tutti noto Georges Ivanovič Gurdjieff, sosteneva la tesi che la maggior parte degli esseri umani siano “macchine”, destinate alla ripetitività di azioni meccaniche predeterminate dall’educazione e dalle esperienze pregresse. Diciamo, con un po’ più di ottimismo e meno cinismo, che ogni essere umano ha un potenziale che non sempre si manifesta.
Quello che ci rende veramente diversi dalle nostre creazioni di intelligenza artificiale sono le emozioni e un certo grado di consapevolezza dell’ambiente in cui siamo inseriti. Emozioni e consapevolezza, quando lavorano all’unisono, generano intelligenza attiva.
Non è attraverso il semplice studio che si può sviluppare il massimo grado di questa speciale qualità umana, ma tramite un consapevole e autocosciente lavoro interiore. C’è da augurarsi che il numero di persone che si dedicano a questo nobile intento possa crescere con maggiore rapidità. Solo questo può cambiare il mondo in cui viviamo.
Perché, come asseriva il grande Giordano Bruno: “Che ingenuità chiedere al potere di riformare il potere”.
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All’inizio si è cercato di replicare il movimento e le fattezze umane, ora si è passati al linguaggio naturale e alle reti neurali. Strano che non sia stata ancora riprodotta la respirazione, eppure è così semplice, basta dotare l’intelligenza artificiale di una scatola che aspira ossigeno ed emette anidride carbonica…