In un percorso di ricerca possiamo portare attenzione sia verso l’esterno che verso l’interno.
Nel primo caso, possiamo parlare di ‘ricerca esteriore’, nel secondo caso di ‘ricerca interiore’. È evidente che questi due campi (e direzioni) di indagine non sono separati, ma non è per questo scontato comprendere in che modo siano esattamente collegati, o collegabili.
Gettare dei ponti duraturi tra il ‘mondo interiore’ (che solo interiore non è) e il ‘mondo esteriore’ (che solo esteriore non è), e costruire vere comprensioni, invece che semplici vagheggiamenti, non è cosa facile.
Spesso e volentieri, ad esempio, abbiamo la tentazione di usare le ‘spiegazioni inerenti al mondo interiore’ per elucidare i fenomeni del mondo esteriore o, viceversa, le ‘spiegazioni inerenti al mondo esteriore’ per elucidare i fenomeni del mondo interiore. Non voglio affermare con questo che questi tentativi di operare delle “trasmigrazioni” di concetti e spiegazioni non possano risultare vantaggiosi, o rivelarsi addirittura cruciali, ma è bene comprendere che non è per nulla scontato che lo siano, e che è pertanto auspicabile procedere sempre con prudenza.
Da uno studio attento della fisica quantistica, sembra ad esempio emergere che la nostra realtà fisica sia per lo più non-spaziale (la parola che solitamente viene usata è ‘non-locale’), quindi molto più vasta di quanto ci si aspetterebbe sulla base della nostra esperienza e rappresentazione ordinaria della stessa.
Allo stesso modo, i dati oggi a nostra disposizione sui fenomeni parapsichici (come ad esempio le esperienze extracorporee e di premorte), se presi sul serio e non letti in modo riduzionistico e positivistico, indicano anch’essi l’esistenza di un possibile ‘altrove non-spaziale’, dove la nostra coscienza individuale sarebbe in grado di manifestarsi, anche dopo la morte del corpo fisico. In altri termini, sia la fisica quantistica che lo studio in prima persona della coscienza indicherebbero l’esistenza di realtà più dilatate, che si estendono oltre i limiti del nostro teatro spaziale tridimensionale, o più generalmente del nostro teatro spaziotemporale quadridimensionale. Ciò non significa, tuttavia, che queste realtà siano necessariamente le stesse.
Per usare una metafora, immaginate di trovarvi all’interno di una casa, in cui siete nati e dalla quale non siete mai usciti. Vi avvicinate a una delle sue tante finestre e per la prima volta la aprite, scoprendo che “là fuori” si estende un paesaggio strano e meraviglioso. Supponete che quella sia la finestra che apre sul mondo quantistico. Poi, aprite un’altra finestra, su un altro lato della casa, orientata in un’altra direzione, e anche in questo caso scorgete un paesaggio strano e meraviglioso. Supponete che quella sia la finestra che si apre sul mondo delle esperienze mistico-spirituali.
Dal momento che entrambi questi paesaggi vi appaiono strani e meravigliosi, potreste essere tentati di ritenere che le due finestre aprano sul medesimo paesaggio, cioè sulla medesima realtà. E l’osservazione che appartengono entrambe alla medesima abitazione potrebbe rafforzare tale tentazione. Ma, ovviamente, ciò non è sufficiente per validare una tale conclusione.
Se ad esempio la casa si trova in riva al mare, una finestra potrebbe guardare verso l’entroterra, l’altra verso l’oceano aperto. E se avete vissuto da molto tempo reclusi in quell’abitazione, entrambi i paesaggi vi appariranno indubbiamente strani e meravigliosi, ma resteranno nondimeno delle realtà molto differenti tra loro: in una ci vivono i pesci, nell’altra i quadrupedi!
Poi, naturalmente, è sempre possibile immaginare un livello più fondamentale, dove terra e mare sono parte di un’unica realtà indivisa, quella del pianeta Terra, ma qui usciamo dalla metafora.
È sempre possibile, infatti, concepire un livello più fondamentale, ma allo stato attuale delle nostre conoscenze non abbiamo ragioni di ritenere che le nostre esperienze psico-spirituali e i nostri esperimenti di fisica fondamentale, siano riusciti forsanche a sfiorare un tale livello.
Detto questo, e tornando alla possibilità di applicare quello che si è appreso nell’ambito di un’indagine specifica per comprendere un campo d’indagine differente, tale “trasmigrazione” di strumenti e spiegazioni, se condotta con prudenza e buon senso, può sicuramente permettere (a volte) di fare dei passi avanti.
Per fare un esempio, come fisico quantistico sono attivo in un campo di ricerca interdisciplinare denominato “quantum cognition” (cognizione quantistica), dove la matematica quantistica viene usata per modellizzare alcuni processi cognitivi umani, come quelli decisionali, permettendo di gettare nuova luce sulla cosiddetta irrazionalità umana. In altre parole, può essere vantaggioso utilizzare ciò che abbiamo appreso in un campo di indagine, nella fattispecie quello della fisica moderna, per elaborare possibili approcci teorici volti a descrivere – mutatis mutandis – entità e situazioni che esulano da tale campo di indagine, nella fattispecie le entità concettuali proprie alla cognizione umana.
Perché allora non tentare di usare la fisica per dare un fondamento all’ipotesi (o certezza, per alcuni) che l’essere umano abbia in dotazione più di un solo veicolo di manifestazione, e che il cosiddetto mondo fisico (inteso qui nel senso ordinario del termine) sia solo un aspetto di una realtà ben più ampia?
Naturalmente, non ci sono controindicazioni nel tentare di farlo, sebbene sia opportuno (dal mio punto di vista se non altro) evitare di farsi prendere la mano dal troppo entusiasmo e voler dare a ogni nuova scoperta della fisica un’interpretazione di carattere “spiritualistico”. In altre parole, il mio consiglio è di cercare di prendere seriamente e non banalizzare sia la ricerca interiore che la ricerca esteriore.
Sicuramente, per chi avvalora la tesi che la coscienza individuale sia in grado di sopravvivere alla morte del corpo fisico, deve poter esistere l’equivalente di (almeno) un altro “corpo” in grado di contenere la memoria integrale della coscienza. Perché senza memoria, niente coscienza individuale, e senza un supporto per la memoria, niente memoria.
Ora, se esiste un corpo “sottile”, cioè se ognuno di noi ne possiede almeno uno, in aggiunta al corpo fisico-biologico, questo sarà composto da una qualche sostanza (o insieme di sostanze), cioè di una qualche materia con determinate proprietà, in corrispondenza con le proprietà di quella realtà più “sottile” che costituisce l’habitat naturale di tale corpo, quando la coscienza si disconnette dal corpo fisico, al momento del decesso, o quando si trova in particolari stati che favoriscono parzialmente tale disconnessione. E siccome non è pensabile che vi sia una separazione radicale tra il corpo fisico-biologico e il corpo “sottile” (dal momento che questi veicoli sono in relazione, cioè interagiscono a un qualche livello), la sostanza del corpo “sottile” deve poter essere in linea di principio rilevabile.
Magari non direttamente dagli strumenti oggi a nostra disposizione, ma certamente in modo indiretto, essendo del tutto naturale e logico considerare l’esistenza di una zona intermedia, quasi-fisica, di frontiera, tra il mondo fisico e quello extra-fisico, e che tale zona sia (parzialmente) esplorabile da entrambi i suoi “lati”.
Pertanto, nei diversi periodi storici, ogni volta che i fisici scoprivano nuovi campi di materia-energia, che prima di allora non erano stati osservati, questi venivano subito tentativamente presi a prestito da alcuni “entronauti” per dare un fondamento sostanziale al corpo “sottile”.
Ecco allora che quest’ultimo fu ritenuto essere formato da un fluido vitale magnetico, o elettrico, quando fu scoperto il magnetismo, o l’elettricità, oppure da “energia negativa”, quando Dirac ipotizzò l’esistenza di un “oceano di particelle di energia negativa”, cui è poi seguita la scoperta dell’antimateria (ma il corpo “sottile”, ovviamente, non poteva essere fatto di antimateria, altrimenti non avrebbe potuto interagire con il nostro corpo fisico in modo costruttivo, ma unicamente distruttivo), o allora da flussi neutrinici, da superstringhe dalle dimensioni “compattificate”, oppure da particelle virtuali, dall’energia del vuoto della teoria quantistica dei campi, senza dimenticare le entità tachioniche più veloci della luce, o le più recenti “particelle massive debolmente interagenti” che si ritiene possano formare la cosiddetta materia oscura.
Insomma, ogni volta che nuovi campi e sostanze materiali venivano scoperti, o solo ipotizzati, questi diventano subito i candidati ideali per descrivere la composizione del misterioso mondo “sottile”.
Lo ribadisco ancora una volta, non c’è nulla di male in questo: ogni nuova scoperta corrisponde infatti a una nuova breccia nel nostro teatro tridimensionale, che apre verso una direzione ignota, quindi, potenzialmente, anche in direzione di quel mondo “sottile” in cui ha sede la nostra coscienza individuale multimillenaria. Ma come suggerito dalla metafora delle molteplici finestre della casa in riva al mare, non è detto che la nuova finestra apra proprio nella direzione prospettata. Anzi, ritengo che l’ipotesi di default sia di considerare che non lo faccia, così come è corretto ritenere, quando si compra un biglietto della lotteria, che non sia quello vincente, anche se, ovviamente, potrebbe anche esserlo.
Certamente, tutti i vincitori della lotteria sono stati almeno una volta dei giocatori, quindi “giochiamo”, cioè apriamo con coraggio tutte le finestre che siamo in grado di scoprire, nel nostro percorso multimillenario di esplorazione (interiore ed esteriore), e nella misura del possibile avventuriamoci anche un po’ al di là delle numerose “zone di frontiera” che incontriamo, senza stare solo “alla finestra a guardare”, per quanto affascinante possa essere la vista. Ma facciamolo tenendo sempre ben presente quello che ogni esploratore dell’ignoto dovrebbe sapere: che il territorio inesplorato è immenso, che vi sono innumerevoli mondi, che sappiamo molto poco, forse quasi nulla, e che ci sono cose che nemmeno sappiamo di non sapere.
Concordo con l’dea che, i due tipi di ricerca, quella spirituale e quella scientifica, non vanno né contrapposte né confuse tra di loro… è intuitivo, però, che convergano verso la scoperta di un’unica realtà, per cui è inevitabile che, oltre un certo livello, necessitino l’una dell’altra, per dare un senso logico, a ciò che è stato intuito e/o scoperto, nei rispettivi campi di indagine… ad esempio, il concetto di materia, in campo quantistico, sfuma nel concetto di energia, mentre nella ricerca spirituale, si arriva alla necessità di organizzare, l’energia delle emozioni e dei pensieri, in forme di materia, più sottile magari, ancora impercettibile, ma pur sempre materia, …sfruttando il concetto di particelle elementari, che la fisica quantistica, continua a scoprire…..