Ci sono delle situazioni da cui sembra impossibile divincolarsi.
Attaccamento è la parola d’ordine della nostra vita. Attaccamento all’amore, alle relazioni, al lavoro, agli interessi, a uno stile di vita, a un atteggiamento mentale. Ogni situazione piacevole si trasforma in una prigione. Entriamo nelle novità con entusiasmo, per poi diventare succubi di legami e impegni, come se tutto ciò non dipendesse da noi; ma è veramente così?
Ci raccontiamo che in fin dei conti la vita è dura e ci ricordiamo di quella famosa frase che i nostri genitori ci hanno ripetuto più volte “impara ad assumerti le tue responsabilità”. Un senso del dovere smisurato che ci obbliga a stare in situazioni in cui non vogliamo stare, un grillo parlante che straparla e che non rappresenta la voce della nostra coscienza ma soltanto un disco rotto di parole vuote, condizionamenti, vestiti vecchi che non ci appartengono più e che forse non sono mai stati nostri davvero. A questo punto non ci rimangono che tre scelte. Cosa vogliamo, per noi: una vita di schiavitù, libertà apparente o la vera libertà?
Vivere in schiavitù significa rimanere coerenti e quindi attaccati a un’idea di noi che ci siamo formati a un certo punto della nostra vita, per le più disparate ragioni. A un certo punto abbiamo detto STOP! Da oggi decido di essere… buono, altruista, determinato, curato, amabile, stronzo, freddo, cinico. Tutto ciò congela la nostra natura fatta per volare come una farfalla e la vita non tarderà a ricordarci che nella realtà gli opposti stanno insieme e che una mente duale è una mente infelice.
Imprigionati da noi stessi, ci ritroviamo carichi di giudizio e moralismo nei confronti del prossimo; insomma, ci scagliamo verso chiunque osi andare contro il nostro schema mentale. “Non sei un po’ troppo rigido?” Ci chiedono gli altri. “Vuoi essere buono?” Ok, ti dice la vita. Da oggi, ti farò venire dei terribili attacchi di ira, in cui sbotterai con il tuo capo di lavoro, con cui ti sforzi ogni giorno di essere tanto amabile. Stravolgerò quel tuo bel visino dall’aspetto curato e tu, proprio tu che fai il cinico, farò piagnucolare ai piedi di una donna che vuoi con tutto te stesso, contro la tua volontà. Tutto è uno e gli opposti si uniscono nel mysterium coniuntionis,come dicevano quegli antichi alchimisti che delle leggi della vita ne sapevano qualcosa.
Vivere una libertà apparente presuppone un certo grado di consapevolezza, perché implica sottrarsi dalle situazioni che ci provocano sofferenza. Non mi piace più il lavoro? Lo cambio. Non mi piace più il compagno? Lo lascio. Non mi piacciono i genitori perché non approvo le loro scelte di vita? Me ne allontano per sempre, o mi vendico a ogni loro chiamata, dimenticandomi che in fin dei conti mi hanno procreato (anche su quella scelta di vita non sei d’accordo?).
Insomma, questo è sicuramente un comportamento più intelligente del precedente; però, a lungo andare, stanca. Noi che siamo sempre stati i più libertini, noi gitani della vita che abbiamo criticato coppie sposate, mamme vincolate dai figli, uomini in carriera stressati dal lavoro e che ci siamo vantati di fare sempre quello che volevamo, ora cerchiamo la stabilità e una coerenza interna.
Ci viene voglia di costruire qualcosa. E cosa facciamo? Ci ritroviamo esattamente nella situazione precedente, schiavitù! Trasformiamo la relazione in legame, la passione in routine, il sogno di carriera in un incubo. Tutte parole che non rendono giustizia a una vita degna di essere vissuta.
La vera libertà è un fatto interno; è rimanere pirati e piratesse anche se la nave è in porto. Le situazioni da cui sembra impossibile divincolarsi sono aspetti di noi che non siamo disposti a cambiare. Nemmeno ce ne rendiamo conto, perché siamo troppo dentro al conflitto per ricordarci che possiamo uscirne quando vogliamo, semplicemente accorgendoci che c’è dell’altro dentro di noi e in ogni istante. Allora le situazioni difficili diventano il campo di battaglia in cui giocare la nostra partita con la vita. Cosa mi fa star male di questa situazione? Cosa non mi piace di lui? Quali aspetti di me stessa la vita mi dà l’opportunità di guardare? Incontrando quest’amore o questo lavoro, affinché io possa accettarli e integrarli al mio interno? Questo è trovare la mia unicità!
Facile parlare di libertà, difficile metterla in pratica. Per tradizione occidentale siamo abituati a capire sul piano intellettuale e meno su quello pratico. Questo è il motivo per cui la gente si riempie la bocca di belle parole, ma spesso non ha realizzato un briciolo di quello che dice. Questo è il motivo per cui, quando ascoltiamo i consigli di qualcuno, tra noi e noi pensiamo: “Seh, seh… tanto tu sei invischiato tanto quanto me”, e le parole non ci toccano più, non arrivano al cuore e alla testa.
Quindi come praticare la vera libertà? Riflettere sul proprio comportamento, senz’altro. Osservare i nostri comportamenti, magari non da bacchettoni… anche. Però serve anche uno stato di coscienza che sia ricettivo nel vuoto; in cui, qualcosa di più profondo, possa emergere dal nostro interno. Può avvenire anche attraverso la pratica della yoga e della meditazione. Attimi in cui ricerchiamo il senza tempo.
La concezione del tempo è sopravvalutata, perché il tempo (che conosciamo) è legato alla materia. Quindi, è vero che occorre del tempo per le cose materiali; cioè, per costruire una casa, avanzare di carriera, realizzare un progetto a lungo termine. Tutte cose che richiedono sforzo e tenacia. Ma questo atteggiamento è poco utile nei confronti di noi stessi. Perché concederci del tempo per soffrire? La vera libertà, di fatto, non ci casca dal cielo; ma è vero che possiamo ricercarla a partire da ora.
Nel silenzio della mia pratica io sono qui con me stessa. Sciolgo antichi conflitti e non ne produco di nuovi; rimango a guardare, senza aspettative. Ci vorrà del tempo per estendere questo stato alla vita di tutti i giorni ma questo è un tempo che non sarò io a determinare e non me ne curo. Ora, scelgo di non darmi più tempo per soffrire. Ora, scelgo di darmi tempo per praticare la vera libertà.