In questi giorni siamo tutti chiamati ad una grande prova, intima e sociale, qualcosa che è arrivato come un grande imprevisto.
Nessuno di noi ha scelto ovviamente un periodo di quarantena e non sappiamo quanto durerà ma coscientemente, a salvaguardia della salute nostra e degli altri, abbiamo aderito a delle regole speciali di ordine pubblico, dinanzi ad un’emergenza sanitaria mai sperimentata prima.
E’ diffuso in questi giorni un senso di sconforto, sfiducia, spaesamento, preoccupazione e paura… sentimenti comprensibili che non vanno negati, ma possono essere trasformati in un nuovo respiro di crescita e maturazione, scorgendo nel limite una possibilità dimenticata e nella separazione e segregazione (si spera meno duratura possibile) una nuova unità, una nuova integrazione interiore e perfino con le persone e la realtà attorno.
Ci troviamo a uscire pochissimo, se non per motivi di necessità dichiarata, e la maggior parte del tempo va impiegato all’interno delle nostre case con le persone che abbiamo vicino o in solitudine se viviamo soli.
Questo “rientro” a casa, con stop dei ritmi ordinari, può diventare però un territorio di scoperta profonda e trasformazione.
Il primo ambiente di cui occuparci è il nostro corpo e al contempo vi è lo spazio della nostra casa. “Fortunatamente” l’evento che stiamo vivendo non ha criteri del cataclisma che ci lascia al freddo e senza viveri (come accade per un terremoto, uno tsunami o un bombardamento), è un’emergenza, ma ci viene chiesto di rimanere a casa.
Allora possiamo approfittarne.
Per cosa?
Per un ribaltamento di realtà e prospettiva, proprio perché dietro l’ombra più scura si rivela una grande luce, e non è una frase da biscotto della fortuna ma una legge di fisica, oltre che una legge spirituale.
La prima cosa dinanzi ad un imprevisto è “l’accettazione di ciò che è”, perché la paura si manifesta in una immediata voglia di fuga e negazione… e subito dopo nella voglia di individuare un “nemico”, solo che questa volta il nemico è invisibile e microscopico e si annida nei contatti umani, quindi dobbiamo accettare che il nostro primo spazio vada protetto, il nostro corpo sia sacro, come il nostro ambiente.
Che fare quindi? cos’è uno “spazio sacro”? Un luogo sacro è un posto dove il ritmo e il senso della vita ordinari vengono meno, lasciano il posto ad un tempo differente, ad un’intensità differente e all’emersione di realtà più profonde finora celate. Per fare emergere questa intensità occorre che ciò che facciamo – e soprattutto il come – abbia quasi i criteri di un “rito”. Qualcuno potrebbe dirmi “cioè, devo lavare il cesso o sbucciare le patate come se fosse un rito? ”
Sì.
Il punto è proprio quello, il principale nemico della nostra vita è la nostra mancanza di consapevolezza, che si traduce in una meccanicità che invece di farci risparmiare energia e aumentarla, la blocca o la fa disperdere. I ritmi frenetici del quotidiano ci fanno vivere in questo modo, spingono ad una totale disattenzione e routine in molti momenti della giornata. Attraverso l’inconsapevolezza passano tutti i nostri “nemici”, che siano esterni, e arrivano come ladri nella notte mentre “dormiamo”, o interni, cioè i contenuti inconsci che prendono il sopravvento e ci rendono schiavi di paure, limiti, fissazioni, emozioni deragliate, idee distorte ecc… Se siamo disattenti e con bassa energia passano anche i virus a violare il nostro corpo!
Le nostre vite dinamiche prima della quarantena sicuramente ci piacevano di più dell’immobilità forzata di oggi.
Interrompere il ritmo a cui eravamo abituati può farci “sclerare”, oppure può essere uno speciale rallentamento che consente alla nostra consapevolezza di “tornare”, di ricentrarsi per espandere noi stessi e non disperdere forze nell’agire meccanico.
Allora cos’è un'”azione rituale”? E’ un’azione concreta – come quelle pratiche di ogni giorno – svolta con un ritmo non ordinario (prendiamoci il nostro tempo, avendo meno doveri esteriori) e una sua precisa evoluzione, un inizio e una fine, anche con una sua ripetitività quotidiana, ma a differenza di un’azione meccanica prevede la nostra continua presenza, una maggiore cura del dettaglio, l’attenzione profonda a ciò che si compie e alla gestione delle risorse, il corpo coinvolto, il respiro che si armonizza alle azioni, e lo spazio percepito – quello di tutti i giorni – come se lo vedessimo per la prima volta.
“Ok, ma sempre il cesso devo lavare… lo lavo con attenzione ogni volta, cosa cambia?”
Il fine.
Lavare il bagno con lo scopo di lavare il bagno è operazione sana, necessaria e pure nobile, ma il fine di un’azione rituale è far nascere… te.
Le azioni sono solo il veicolo.
Non a caso ho usato il termine “nascere”, perché questi giorni in cui staremo a casa possono essere il tempo creativo per un’ “incubazione”, ma non di un virus, bensì della nostra parte più profonda (ecco il principio di ribaltamento e trasformazione!).
C’è un famoso adagio che dice “dove va l’attenzione va l’energia”, se l’attenzione è distratta o al minimo, incanalata in routine, non ci sarà una particolare crescita della nostra energia, ci sarà un adattamento al ritmo ordinario.
Ma noi stiamo cercando di sfruttare un tempo e uno spazio contratti (e imposti) per intensificare la nostra presenza e la nostra consapevolezza, innanzitutto nel nostro corpo in azione, e poi nello spazio attorno che riscopriamo con sguardo nuovo.
Queste azioni ordinarie, concrete e precise, diventano veicolo di una rinnovata “verticalità”: l’attenzione a ciò che facciamo e al contempo un ascolto speciale, calmo, rilassato del nostro corpo, delle emozioni che scorrono e dei pensieri che passano sullo schermo mentale, modificano la nostra qualità di “presenza”. La mente, che in questi giorni rischia di andare in tilt, se facciamo tutto come un rito si acquieta… accetta che non può gestire nel solito modo la realtà, molla la presa del controllo e lascia il posto ad una parte più silenziosa ma vigile.
Lo stesso vale per le emozioni che si accavallano ad agitare l’animo ed ora invece lasciano spazio a una strana pace. Utilizziamo quindi le azioni di sempre in modo speciale e anche il tempo ordinario si modifica, rallenta, o meglio… è come se la nostra percezione slittasse in un tempo sospeso, “presente”.
I gesti della vita ordinaria, il contatto con gli oggetti personali e le persone vicine possono assumere una valenza profonda di allineamento, integrità e risveglio delle risorse interiori e al contempo di “nobilitazione” del luogo quotidiano.
Anche lo spazio comune vissuto, i libri messi in ordine, l’armadio riorganizzato, i vestiti messi a posto, cucinare e fare i piatti… tutte le situazioni della vita quotidiana in questo speciale stato di presenza intensificata vengono investiti da una speciale attenzione… come se le nostre azioni fossero una preghiera, un ringraziamento, una cura che santifica ciò che riguarda la nostra vita.
Alla fine di una giornata con questi criteri “rituali”, saremo più densi ed energici noi e anche lo spazio attorno avrà una particolare qualità e luminosità, come se fosse all’interno di un cerchio sacro il cui centro è il nostro cuore.
Non uso il termine “rito” in senso altisonante, ma come qualcosa di semplice e dignitoso alla nostra portata, qualcosa che riconosciamo come “ben fatto”, che innalza il nostro senso interiore e può attirare, quasi a farle “discendere”, nuove energie.
Non si tratta di inventarsi uno “yoga del quotidiano” (il che sarebbe auspicabile, ma richiederebbe tempi differenti…), bensì di attivare risorse che conosciamo e ci fanno stare in asse.
Un’azione ordinaria, come lavare i piatti con piena presenza, può farci sentire salda la terra sotto i piedi e al contempo conferirci una dignità “verticale”, regale, e proprio all’altezza della testa – o meglio alla sua sommità – può discendere una serenità chiara, una trasparenza.
Questa è la nostra regale “corona”, che per quel ribaltamento trasformativo, anche simbolico, dissolve la nostra paura del “coronavirus”.
In questo modo avremo la netta percezione che il nostro spazio interiore non debba essere profanato e avremo anche un’alta sensibilità qualora qualcuno volesse limitarci o violare questa dimensione di luce e libertà conquistate, riconoscendo questo diritto per noi come per le persone care e per tutti gli altri.
In definitiva possiamo “sfruttare” l’occasione per trasformare il limite in una disciplina e verificare come crescano la nostra forza interiore e la vigilanza, in un momento in cui ne abbiamo davvero bisogno ed è necessario che la coscienza sia desta e le funzioni ben allineate.
Non si tratta di “aspettare” tot giorni sperando che questo delirio passi in fretta… e nemmeno di “distrarsi” stando ore sui social per alleggerire la tensione (cosa comprensibile… ma meglio leggere un buon libro) o avvelenarci l’animo con notizie allarmanti che ci rendono più insicuri e nervosi, bensì di “sfruttare” questo tempo e il nostro spazio per un’”altra” possibilità conciliante, modificare la nostra consapevolezza giorno dopo giorno.
In questa quarantena i rischi sono due: una forte depressione da mancanza di contatto e immobilità, e un’esplosione emotiva da rabbia incontrollata e paura, sentendoci sotto pressione.
E’ la condizione migliore per farci perdere il nostro centro, per perdere l’equilibrio e, se ci fossero davvero dei nemici esterni (grande paura in questi momenti storici instabili), saremmo più fragili e manipolabili.
A maggiore pressione occorre maggiore centratura e profondità.
In condizioni di stallo molti individui di qualità hanno dato il loro meglio: Aurobindo nel carcere di Alipore ne uscì risvegliato e concepì il suo yoga integrale; Bruce Lee paralizzato 6 mesi a letto concepì la sua arte marziale, il Jeet Kune Do; Stephen Hakwins, per fare un esempio più estremo, man mano che il suo corpo andava verso la paralisi (purtroppo permanente) dilatava la sua mente sempre più in là, verso lo spazio profondo. Sono esempi di una libertà interiore nata come reazione a una limitazione.
Il termine “quarantena” nasce dai 40 giorni di sosta fuori dalla laguna veneta per le navi con sospetta peste a bordo, ai tempi delle repubbliche marinare.
la Quarantena cristiana è costituita dai 40 giorni di purificazione che precedono la Pasqua, a memoria dei 40 giorni che Gesù passò digiunando nel deserto prima di iniziare il suo mandato.
Possiamo trasformare questi giorni di fermo nel nostro spazio sacro di trasformazione, per Risorgere davvero.
Non sappiamo cosa ci aspetti nel futuro, ma possiamo accompagnare il cambiamento cambiando noi stessi giorno dopo giorno. Si prevedono tempi complessi sotto molti punti di vista: è possibile che verremo chiamati a fare scelte e la nostra attenzione e centratura dovranno essere ben salde. Ma questi giorni “speciali” serviranno anche ad attrarre benedizioni e forze speciali … e sapremo cosa fare.