UNA NOTTE NELLA GIUNGLA

Prosegue la descrizione dell’esperienza di Andrea Maffioletti nella giungla amazzonica, una notte tra caimani e serpenti velenosi. Interessante come sempre, e… anticipatrice di prossimi viaggi di Inner Innovation Project in luoghi straordinari.

ATTORNO AL FUOCO

attorno al fuoco

Era circa un mese che mi trovavo ai confini del mondo civilizzato, al di là del fiume Las Piedras, in un angolo di foresta amazzonica al confine tra Perù e Bolivia. Mentirei se affermassi che mi ero ambientato a quel clima e a quel luogo cosi diverso dal mondo da cui provenivo. Diciamo che avevo trovato un mio personale equilibrio psico-fisico per godere al meglio di quell’esperienza, senza rischiare troppo la pelle.

Ma a condividere con me quel viaggio vi erano ragazzi e ragazze dotati di ben altro spirito d’avventura e con un senso di sopravvivenza ancora poco sviluppato forse per la giovane età, o forse perché per la maggior parte di loro quella foresta aveva il sapore di casa. Due fattori che quella sera mi portarono a vivere una delle più intense e pericolose notti nel bel mezzo dell’Amazzonia peruviana.

Quella sera, appena dopo cena, riuscimmo a fatica ad accendere un piccolo fuoco in mezzo al campo base usando rami e tronchi di alberi oramai vinti dal tempo, testimoni di chissà quali meraviglie e impregnati di un’umidità mai percepita prima, con cui dovetti fin dal primo giorno far conoscenza.
Vi ci sedemmo attorno in cerchio, per parlare di ciò che avremmo fatto il giorno successivo, tra un sorso di birra fresca e l’altro.

Attorno a noi regnava una calma surreale, interrotta di tanto in tanto dallo scoppiettio del fuoco che accompagnava in sottofondo le nostre parole e dal gracidio di diverse specie di rane che, al calar del buio, rompevano quel magico silenzio che scendeva al tramontare del sole. Sopra di noi, una volta stellata come mai ne avevo viste, rischiarava le cime più alte degli alberi della foresta mentre i tronchi rimanevano appena percepibili, celati dal fitto buio che dolcemente li avvolgeva.

Quando oramai la serata sembrava giunta al termine e il sonno prendere il sopravvento uno dei ragazzi, un connubio perfetto tra Rambo e Mr. Crocodile Dundee, si alzò dal lungo tronco su cui eravamo seduti e con voce entusiasta propose una spedizione notturna lungo uno dei tanti corsi del grande fiume Las Piedras. Obiettivo della spedizione? Caimani.

UN INCONTRO INASPETTATO

un incontro inaspettato

Non ricordo bene, ma credo che la mia probabile sonnolenza e stanchezza per la giornata trascorsa a camminare nella foresta in cerca di scimmie ragno vennero rapidamente sostituite da una scarica di adrenalina per quella inaspettata proposta. Non avevo mai visto quel genere di animali dal vivo e sapevo che molto probabilmente quella spedizione sarebbe stata tanto produttiva quanto eccitante data la presenza di Patrick, un erpetologo con molti anni di esperienza vissuti in quel luogo, per me invece cosi lontano da ciò a cui ero abituato.

Non servì ripeterlo una seconda volta. In poco meno di una manciata di minuti ci ritrovammo all’imbocco del sentiero stabilito indossando stivali da pesca per accedere agevolmente al fiume e muniti di torce frontali che ci sarebbero servite a scovare nel buio più completo quelle antiche creature facendo riflettere la luce elettrica nei loro occhi giallo olivastro, che richiamavano alla memoria epoche remote.

In fila indiana, in un gruppo di cinque o sei persone, ci incamminammo silenziosi in uno dei tanti sentieri che era stato creato da alcuni junglekeeper locali – una sorta di guardaboschi della foresta Amazzonica – per consentire un passaggio più agevole attraverso quell’immenso polmone verde abitato da migliaia e migliaia di specie di piante e animali. In quei luoghi non è necessaria chissà quale grado di consapevolezza o abilità percettiva per sentire Madre Natura in tutta la sua potenza.

La sua presenza ti arriva addosso senza preavviso. E’ un luogo tanto affascinante e sensuale quanto pericoloso e potenzialmente mortale.
Ricordo l’aria pregna d’acqua che accarezzava i pochi lembi di pelle scoperti, formando un velo umido che rendeva difficile il respiro.
Attorno a noi, foglie e rami attraversavano il sentiero da lato a lato, sfiorando viso e braccia e lasciando il ricordo del loro contatto urticante.
Ogni rumore al di là del sentiero nel mezzo della foresta era percepito con timore ed eccitazione: fermi ed immobili, sul ciglio del sentiero, strizzavamo gli occhi per mettere a fuoco un’ombra o la presenza di occhi luminosi, segno certo della presenza di qualche grande mammifero nelle vicinanze.

Improvvisamente il silenzio fu interrotto da una ragazza del gruppo che con uno spensierato e pacato accento francese ci fece notare che ad un metro dai nostri piedi giaceva un serpente.
Ricordo perfettamente lo sguardo serio dell’erpetologo che con tutt’altro tono ci invitava a non muovere un passo nella maniera più assoluta. Ai nostri piedi si trovava uno dei più letali serpenti dell’Amazzonia peruviana: il Bushmaster (Lachesis muta).
Un suo morso, cosi distanti dal campo base, avrebbe potuto condurci ad un unico e certo risultato.

Negli occhi della nostra giovane guida vi era un misto d’ammirazione ed eccitazione alla vista di quel rettile, cosi raro da individuare. Nel resto del gruppo serpeggiava invece una leggera tensione, pur non sapendo chi si fosse palesato al nostro cospetto.

Era una creatura semplicemente meravigliosa. Aveva un manto scuro arricchito sul dorso da macchie nere, elegantemente avvolto su se stesso con una corta lingua biforcuta che vibrava nell’umida aria in cerca di una potenziale preda.
Non ricordo cosa stessi pensando ma tutti noi restammo pietrificati ed immobili alle parole di Patrick che rapidamente tolse dal suo zaino un lungo bastone per cercare di allontanare quella creatura ad una distanza di sicurezza.

Guardavo questo ragazzo con ammirazione per la calma e il controllo che mostrava nel danzare con quel rettile, assicurandosi di non causargli alcun danno e permettendoci al contempo di indietreggiare di qualche passo per metterci in salvo. Solo dopo prendemmo consapevolezza del pericolo che avevamo appena sventato: se qualcuno di noi l’avesse pestato o si fosse avvicinato poco più, il continuo di quella sera avrebbe preso tutt’altra piega.

Passata quell’euforia mista a paura che ti avvolge e stritola lo stomaco, continuammo verso la nostra destinazione in religioso silenzio, attenti a mantenere i nostri passi ben stabili lungo il sentiero tracciato.

LUNGO IL FIUME

lungo il fiume

Dopo un tempo imprecisato arrivammo finalmente sulle sponde del corso d’acqua dove con fortuna avremmo trovato ciò per cui aveva avuto inizio quell’avventura. Scendemmo uno ad uno lungo le sponde sabbiose del fiume ed iniziammo la ricerca di quei silenziosi e abili predatori che nell’oscurità della foresta vedono senza essere visti da ciò che quel luogo poteva loro offrire in pasto.

Quasi immediatamente ne avvistammo uno che si stava dirigendo verso le rocce, probabilmente disturbato dalla nostra presenza. Patrick gli si mosse incontro, lentamente, invitandoci a fare lo stesso e in pochi passi gli fummo vicini. Il caimano era li, completamente immobile per mimetizzarsi al meglio con l’ambiente circostante. Con un gesto rapido e deciso lo afferrò alla gola con due dita di una mano e con l’altra prese la base della coda affinché non si muovesse e per permetterci di osservarlo in tutta la sua bellezza.

Con un gesto del capo fece segno se qualcuno lo volesse prendere in mano. L’occasione era per me unica e senza indugiare feci segno di si. Mi bagnai le mani per recare a quella creatura meno danno possibile e con un quarto della sicurezza ostentata dalla nostra guida riuscIi a prenderlo in mano.

I suoi occhi sembravano due oblò contenenti un mondo antico, gemme brillanti color oro divise da una venatura nera, perfettamente calmi ed immobili come se non vi fosse alcuna paura o timore della nostra presenza. I suoi denti erano piccoli ed affilati pronti all’occasione a spezzare la quiete di quelle calme acque, la sua pelle una sorta di corazza simile, per colore e per tatto, alle rocce in cui cercava protezione da quegli esseri curiosi chiamati umani.

Era tempo di posarlo di nuovo in acqua e feci segno a Patrick di riprenderlo. Lui mi sorrise come a dire “Hai voluto la bicicletta?”.
Toccava a me rilasciarlo, operazione tutt’altro che semplice.
Mi feci ripetere più volte cosa andava fatto e soprattutto quali errori non andavano compiuti. Si trattava di posizionarlo al filo dell’acqua per tranquillizzarlo e rassicurarlo e, con un gesto rapido ma calmo, rilasciare collo e coda per non rischiare di entrare troppo in intimità con la bocca del mio nuovo amico.

Feci quello che mi fu detto di fare, ma vuoi la mia scarsa propensione al concetto di velocità, vuoi il leggero tremore delle mie mani che mal si addiceva all’idea di calma che il caimano non ci pensò due volte a girare la testa per tentare di assaggiare carne esotica.
Penso fu questione di centimetri e di tanta fortuna se non mi afferrò un dito mettendo a rischio una futura professione lavorativa a quel tempo nemmeno immaginata. Lo spavento era stato immenso e mal supportato dalle risatine dei miei compagni di viaggio che avevano assistito alla scena divertiti. Per quel che mi riguardava, per quella notte, l’avventura era giunta al termine.

RIFLESSIONI FINALI

riflessioni finali

Per chiunque abbia viaggiato e visitato luoghi estremi come una giungla, un deserto o altre destinazioni lontane dalle consuete comodità, è facile comprendere quanto possa essere destabilizzante a livello emotivo un’esperienza del genere.
A volte, la semplice mancanza di certi cibi e sapori è sufficiente per mandarci in crisi.

In quei luoghi la natura si manifesta in tutta la sua intensità: tutto è amplificato nei colori, nelle forme e nei profumi. L’emotivo viene messo a dura prova e la mente scorre su binari atavici legati principalmente alla paura e sopravvivenza, due fattori che da sempre risiedono nel nostro DNA e dai cui ogni essere umano dovrebbe cercare di emanciparsi.

Viaggiare e trovarsi in condizioni un po’ più estreme rispetto alla bolla asettica a cui la nostra società ci sta abituando rappresenta un’opportunità preziosa per esplorare la nostra essenza e osservare come le emozioni e la mente possano giocare brutti scherzi. Situazioni cosi lontane dal nostro vissuto agiscono come una lente d’ingrandimento amplificando meccanismi interiori che normalmente operano indisturbati condizionando la nostra vita nei pensieri, nelle emozioni e nelle azioni.

Come insegnano Andrea e Antonella, l’essere umano impara ed evolve per differenza e il benessere a cui siamo abituati, sebbene confortante, può alla lunga condurci ad un sonno senza possibilità di risveglio.

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